Studi e Articoli di Storia Italiana e Internazionale

La marcia a Londra delle Suffragette

La marcia a Londra delle Suffragette

Nel 1908, 10.000 suffragette guidate dalla National Union for Women’s Suffrage Societies di Millicent Fawcett marciarono attraverso il centro di Londra, a dimostrare la quantità di donne che sostenevano la loro causa.

Il NUWSS era un gruppo suffragista che mirava a cambiare in maniera completamente pacifica la legge secondo cui le donne non potessero votare. Nel giugno 1908, stimolate dal governo liberale, il gruppo marciò dal centro di Londra all’Albert Hall per aumentare la consapevolezza della lotta per il suffragio universale e per mostrare quante fossero le donne che si erano organizzate per anni, in gran segreto, per sostenere questo cambiamento epocale.

Le donne marciarono in gruppi in base alla loro professione, le alleanze politiche e l’appartenenza organizzativa. Ogni gruppo aveva striscioni disegnati dalla Artists ‘Suffrage League, fondata dall’artista di arti e mestieri Mary Lowndes.

L’impatto della manifestazione, o di come venne chiamato successivamente “il sabato del suffragio”, era quello di mostrare la forza di un movimento prima chiuso nei salotti. Le donne che volevano votare erano tante, e non avrebbero più aspettato.

Uscì dopo breve tempo una recensione dell’evento, sul quotidiano Women’s Franchise; riportava la dichiarazione di un ministro di gabinetto che si era detto toccato dalla dimostrazione, e che la quantità di donne presenti in strada dimostrava al governo che il voto era un diritto imprescindibile di cui le donne avevano bisogno

Ma dovettero aspettare ancora a lungo. Nonostante la manifestazione avesse dato prova della forza delle suffragette, per distruggere il sistema ci voleva altro tempo e altre battaglie, come la storia ha dimostrato. Il governo liberale su cui le donne riponevano tanta fiducia, presentò disegni di legge e tentò conciliazioni più simboliche che altro, tanto che i membri del partito stesso e dei conservatori respinsero ogni proposta.

I progetti di legge presentati inoltre erano anche molto controversi perché volevano concedere il diritto al voto solo a un ristretto numero di donne benestanti. Di sicuro, però, sarebbero stati un primo passo promettente verso la parità e il suffragio femminile, e le suffragette avevano intenzione di accoglierlo comunque. Ma nulla successe. Il resto è storia.

storia delle superstizioni e della magia

La storia delle superstizioni e della magia

Antonio Gazzanti Pugliese è un appassionato della storia, anche di quella più strana! La storia delle superstizioni e della magia è un argomento affascinante che copre millenni di credenze e pratiche. Queste tradizioni sono state influenzate da molte culture diverse e sono state trasmesse di generazione in generazione.

In molte società antiche, la magia era parte integrante della vita quotidiana e veniva utilizzata per curare malattie, proteggere da forze malvagie o ottenere vantaggi personali. Con l’avvento delle religioni monoteistiche, molte pratiche magiche sono state considerate “oscure” o “malvagie” e sono state represse o perseguitate. Tuttavia, la magia e le superstizioni hanno continuato a sopravvivere nelle tradizioni popolari e nelle culture folkloristiche.

L’impatto della magia e delle superstizioni sulla storia e la cultura è stato profondo e duraturo. Ad esempio, le credenze magiche hanno influenzato la medicina e la scienza, con molti rimedi popolari che provengono da pratiche antiche che hanno trovato nelle discipline più specialistiche una loro applicazione. Inoltre, la magia e le superstizioni hanno influenzato l’arte, la letteratura e la rappresentazione della realtà nei media.

La magia è stata praticata in molte culture antiche, come quella egizia, cinese e babilonese. Nella cultura egizia, la magia era vista come una forma di conoscenza divina che consentiva di influire sugli eventi naturali e sulla volontà degli dei. Era praticata da sacerdoti, guaritori e streghe, che utilizzavano rituali, incantesimi, amuleti e talismani per ottenere un potere soprannaturale. Gli amuleti e i talismani erano anche molto popolari nella cultura egizia, e venivano utilizzati per proteggere il portatore da forze malvagie e per attirare la fortuna. Questi oggetti erano spesso incisi con geroglifici e scene mitologiche, che rappresentavano le divinità protettrici e le forze divine. Gli incantesimi egizi erano molto elaborati e venivano scritti su papiri o incisi su tavolette di pietra. Venivano recitati durante i rituali o erano intagliati su oggetti personali per proteggere il proprietario.

Nel Medioevo, la magia era vista come una forma di conoscenza segreta e spesso veniva associata ai poteri soprannaturali delle streghe. In questo periodo, molte persone furono accusate di stregoneria e punite con la morte, nell’evento che divenne noto come la caccia alle streghe.

Con l’avanzare della scienza e la nascita della filosofia moderna, le superstizioni e la magia sono state gradualmente abbandonate come spiegazioni per gli eventi naturali. Tuttavia, la magia continua a essere praticata in molte culture, sia come forma di religiosità che come mezzo per raggiungere obiettivi personali.

In alcune tradizioni spirituali, come il Wicca e l’Hinduismo, la magia è vista come un modo per connettersi con la natura e con gli dei. Altre culture, come quella africana, continuano a praticare la magia tradizionale per guarire malattie, proteggere la famiglia e aumentare la prosperità.

La storia delle superstizioni e della magia è un viaggio attraverso la cultura umana, che ci mostra come l’uomo abbia cercato di capire e controllare il mondo che lo circonda. Anche se la magia non è più considerata una forma di conoscenza scientifica, continua ad essere praticata e rispettata in molte culture di tutto il mondo. Anche se ora, conclude Antonio Gazzanti Pugliese, i riti magici sono più simbolici che altro.

Le superstizioni più curiose del mondo: un approfondimento di Antonio Gazzanti Pugliese

“Gettarsi il sale alle spalle”: Antonio Gazzanti Pugliese

Europeo/Cristiano, romano antico. Forse la superstizione più comune, almeno in Occidente, riguarda il gettarsi il sale alle spalle. Questa superstizione implica l’idea di “allontanare il male” – in questo caso, il Diavolo stesso. Nell’Ultima cena di Leonardo da Vinci, il traditore di Gesù, Giuda Iscariota, è raffigurato mentre versa accidentalmente del sale. Poiché Giuda era associato ad azioni negative, l’argomento sostiene che, ipso facto, lo era anche il sale, e gettarlo sulle spalle accecherebbe il diavolo in attesa. Altri sostengono che visto il valore del sale puro nei tempi antichi c’era la convinzione che versarlo significasse incorrere in sfortuna, richiedendo un corrispondente rituale o atto di penitenza per evitare che si verificassero perdite peggiori.

“Camminare sotto una scala”

Europea/cristiana, forse egiziana. Anche la superstizione di non voler passare sotto una scala ha radici nel simbolismo cristiano: la “Santa Trinità” del Padre, la Figlio, e lo Spirito Santo ha portato ad un’associazione del numero tre con qualcosa di sacro. Anche il triangolo, con i suoi tre lati, venne considerato sacro, e una scala forma un triangolo con il muro. Camminare sotto quella scala significherebbe quindi distruggere la santità della Trinità e incorrere in una punizione.

“Specchio rotto”

Antico greco/romano, europeo. Furono gli antichi romani a contribuire all’idea che uno specchio rotto avrebbe portato sette anni di sfortuna, poiché si credeva che gli specchi si rompessero solo nelle case in cui c’era un malato. Il numero sette era visto dai romani come il numero di anni necessari per completare un intero ciclo di vita, di malattia e rinnovo. Di conseguenza, rompere uno specchio portava direttamente in una spirale mortale che avrebbe richiesto sette anni per finire! Ma, poi, quegli stessi romani pensavano che si potesse prevenire quell’orribile risultato raccogliendo i pezzi rotti dello specchio e seppellendoli al chiaro di luna o gettandoli in un fiume. Antonio Gazzanti Pugliese è interdetto al riguardo!

Statue di San Casciano

Perché le statue di San Casciano sono così importanti?

Un mondo di tesori. Antonio Gazzanti Pugliese di Cotrone, appassionato di storia, ha seguito con attenzione la questione del ritrovamento delle 24 statue di San Casciano. Si tratta di una scoperta eccezionale, perché del mondo etrusco sappiamo ancora poco. Le statue infatti non sono le uniche cose perfettamente conservate del sito, insieme a loro giacevano iscrizioni in etrusco (una lingua che ancora non siamo riusciti a comprendere a pieno per mancanza di fonti), migliaia di monete, erbe e offerte votive che venivano fatte agli dei per le richieste dei fedeli.

La scoperta delle statue di San Casciano dei Bagni, nello scavo di Bagno Grande il santuario romano scoperto nel 2021, è fondamentalmente l’anello mancante tra il periodo etrusco e l’inizio del latino, emersa da 2300 anni di fango e acqua bollente. Risalgono al periodo tra il II secolo avanti Cristo e il I dopo Cristo, raffigurano le divinità venerate nel luogo, dove la gente si riversava per ricevere il potere curativo delle acque termali. Sono state ritrovate effigi perfettamente conservate di Igea, Apollo, e l’Arringatore, scoperto a Perugia.

L’acqua calda, sottolinea Antonio Gazzanti Pugliese di Cotrone, ha salvato anche le iscrizioni dove si leggono i nomi delle famiglie etrusche più potenti del territorio dell’Etruria che andava dai Velimna di Perugia ai Marcni dell’agro senese. Era dai tempi dei Bronzi di Riace che non si assisteva a una scoperta così sensazionale a livello archeologico nel nostro Mediterraneo, e il direttore generale musei del Ministero della Cultura, Massimo Osanna, ha appena approvato l’acquisto di un palazzo nel borgo che diventerà prima il museo in cui le statue verranno esposte e poi un intero parco archeologico visitabile. Perché anche il luogo del ritrovamento è perfettamente conservato, fornendo tantissime informazioni prima mancanti sulla vita e la storia etrusca.

Le statue di San Casciano: e ora?

Le 24 statue di San Casciano si trovano dentro al loro santuario che aveva piscine ribollenti, terrazze, fontane, altari, e che rimase attivo fino al V secolo dopo Cristo, quando i cristiani sigillarono le vasche con pesanti colonne di pietra. Questo ha permesso agli archeologi di scoperchiare un mondo perfettamente intonso, il più grande deposito di statue dell’Italia antica. Il motivo per cui il luogo non è stato distrutto completamente dai cristiani si fa risalire probabilmente al fatto che le statue, come gli innumerevoli ex voto, appartenevano agli esponenti delle élite locali, proprietari terrieri, signorotti, classi agiate di Roma e perfino imperatori.

La civiltà etrusca in questo luogo, ci suggerisce la scoperta, ha tardato a scomparire, più resistente che in altre zone. Gazzanti Pugliese di Cotrone ha raccolto le dichiarazioni di Jacopo Tabolli, tra gli archeologi a capo degli scavi: “Anche in epoche storiche in cui fuori infuriano i più tremendi conflitti, all’interno di queste vasche e su questi altari i due mondi, quello etrusco e quello latino, sembrano convivere senza problemi”. Nel luogo l’unione dei mondi è rappresentata dal potere curativo dell’acqua, che unisce il cambio storico, di linguaggio, persino di divinità, tutto in un luogo che acquista un valore sacro che va oltre le divergenze.

Anche gli storici che hanno partecipato agli scavi di Bagno Grande provengono da tutto il mondo e da diverse discipline (architetti, geologi, archeobotanici, esperti di epigrafia e numismatica), che ora si riuniranno a porte chiuse per studiare i rinvenimenti, fino alla prossima primavera quando gli scavi riapriranno e vedremo cosa altro emergerà al passato.

Perché i Maya sono scomparsi?

Perché i Maya sono scomparsi?

I Maya sono vissuti in America Centrale e nella penisola dello Yucatán almeno dal 1800 a.C. e la loro civiltà fiorì nella regione per migliaia di anni. Secondo innumerevoli studi, i Maya sono scomparsi, in quello che viene definito il collasso dei Maya, tra l’800 e il 1000 d.C. Perché quindi i Maya sono scomparsi? La realtà è molto complessa, e oggi Antonio Gazzanti Pugliese di Cotrone prova a raccontarcelo.

Perché si chiama il collasso dei Maya?

Per cominciare, dire che i Maya sono scomparsi è scorretto, perché esistono ancora oggi. È stato il sistema politico della civiltà a crollare, non la loro società. Ad oggi, vivono in America Centrale e in altre zone del mondo, oltre 7 milioni di Maya.

La società Maya funzionava in modo molto interessante. Non avevano un capo, come poteva essere l’imperatore nell’antica Roma, e non erano unificati in un unico stato. L’antica civiltà era costituita da numerosi piccoli stati, ciascuno incentrato su una città. Sebbene queste città-stato condividessero somiglianze nella cultura e nella religione, ognuna aveva i propri leader locali, alcuni più potenti di altri. Antonio Gazzanti Pugliese quindi vuole precisare che secondo gli studiosi non c’è mai stato un unico crollo; un certo numero di città Maya sorsero e caddero in tempi diversi, alcune entro quel periodo compreso tra l’800 e il 1000 d.C., e alcune dopo. Ad esempio, mentre le aree della Mesoamerica meridionale, come Tikal nell’attuale Guatemala, sono diminuite nell’VIII e nel IX secolo a causa di problemi ambientali e disordini politici, le popolazioni sono aumentate in altre aree, come Chichén Itzá, su quella che oggi è la Penisola dello Yucatán.

Il termine collasso quindi è impreciso, così come chiamare Maya tutti i Maya è errato. La religione, le comunità politiche, gli ambienti e persino le lingue parlate, erano tutte diverse.

Quando Chichén Itzá declinò, soprattutto a causa di una lunga siccità durante l’XI secolo, un’altra città della penisola dello Yucatán, chiamata Mayapán, iniziò a prosperare. Antonio Gazzanti Pugliese ha scoperto che Mayapan aveva signori, sacerdoti, centinaia di libri di geroglifici religiosi, un’astronomia complessa e un pantheon di divinità. Molto di ciò che sappiamo della precedente religione Maya proviene da libri scritti ai tempi di Mayapan e da popolazioni discendenti che incontrarono e sopravvissero al contatto europeo.

Quando arrivarono gli europei, Mayapan crollò in parte a causa della guerra, ma in Yucatan il sito Ti’ho stava prosperando. L’ultimo stato Maya, Nojpetén, cadde solo nel 1697.

Perché i Maya sono scomparsi?

La risposta secondo Antonio Gazzanti Pugliese di Cotrone risiede in un mix di problemi politici e ambientali. L’analisi di speleotemi, strutture rocciose in grotte come stalattiti e stalagmiti, mostra che la regione meridionale della Mesoamerica fu colpita da diverse gravi forme di siccità, tra l’800 e il 930 d.C. E poiché i re Maya più potenti facevano affidamento sui bacini idrici urbani per attirare agricoltori/sudditi durante la stagione secca annuale per l’accesso all’acqua potabile pulita, la diminuzione delle precipitazioni significava un calo dei livelli dell’acqua, i raccolti falliti e la perdita da parte dei regnanti dei loro mezzi di potere.

Il fatto che i sovrani Maya spesso legassero i propri poteri alle divinità creava problemi politici. I problemi che i Maya hanno sofferto a causa della siccità hanno fatto perdere alle persone la fiducia nei loro governanti, come se avessero perso il contatto con dio. La siccità, combinata con disordini politici, avrebbe anche interrotto l’agricoltura, il mantenimento dei sistemi di stoccaggio dell’acqua e portato i governanti Maya a sprecare risorse in guerra.

Acqua bassa significa anche blocco del commercio che veniva effettuato in canoa. Il collasso dei Maya di una certa zona, spesso è corrisposto al proliferare di un’altra. È successo alla regione di Cochuah nella penisola dello Yucatán che prosperò durante il periodo in cui gran parte del sud fu spopolato a causa della siccità e del conflitto politico. Il motivo per cui il Cochuah sia comunque collassato anche se in ritardo è ancora oggetto di studio da parte dei ricercatori, specifica Antonio Gazzanti Pugliese.

Questo modello di declino in un’area e di crescita in un’altra è continuato durante il conflitto europeo con le città Maya. Non è che i Maya sono scomparsi tutti in una volta, in sintesi. È stato un declino costante, e comunque non totalizzante, siccome in molti esistono ancora oggi.

I Maya sopravvissuti

Dopo che l’ultimo stato Maya fu conquistato dagli spagnoli nel 1697, il popolo Maya continuò a vivere, subendo discriminazioni e talvolta ribellandosi contro la Spagna e i governi saliti al potere dopo la fine del dominio coloniale spagnolo nel 1821. Il popolo Maya ha sicuramente sofferto terribilmente, e non è mai riuscito nelle sue ribellioni. Oggi, purtroppo, mancano ancora di un’adeguata rappresentanza politica.

Storia Jack Daniels

Il Jack Daniel’s esiste grazie a uno schiavo di nome Nathan Green

Il Jack Daniel’s è uno dei marchi americani più iconici e popolari al mondo. Eppure, mentre il whisky e il suo omonimo fondatore sono diventati nomi dominanti nella tradizione americana dei superalcolici, la persona forse più responsabile del suo successo – uno schiavo di nome Nathan “Nearest” Green, che insegnò a Jack Daniel l’arte della distillazione del whisky – non fu riconosciuto per più di 150 anni. Antonio Gazzanti Pugliese, oggi, gli vuole rendere onore raccontandone la storia.

I ricercatori stanno rivalutando il ruolo svolto dalle persone schiavizzate nella prima produzione di whisky in America, con azioni che andavano oltre il lavoro manuale come la raccolta del grano e la costruzione di barili. La distillazione era notoriamente un lavoro noioso e alcuni proprietari di piantagioni, inclusi George Washington e Andrew Jackson, usavano lavoratori ridotti in schiavitù per gestire le distillerie. Secondo lo scrittore esperto di storia degli alcolici Fred Minnick, autore di Bourbon: The Rise, Fall and Rebirth of An American Whiskey, i broker alle aste di persone ridotte in schiavitù “annotavano gli schiavi addestrati da distillatori, molti dei quali avevano precedentemente lavorato nelle piantagioni di canna da zucchero dei Caraibi e contribuito al distillazione del sottoprodotto dello zucchero, la melassa, per creare il rum. Queste abilità permettevano loro di essere più appetibili agli acquirenti“.

Ma i documenti che registrano questi passaggi sono ancora molto scarsi perché pochi schiavisti tendevano a tenere traccia delle transazioni, specifica Antonio Gazzanti Pugliese.

Nathan Green: lo schiavo del Maryland che ha inventato il Jack Daniel’s

Poco si sa dei primi anni di Nathan Green, a parte il fatto che nacque nel Maryland nel 1820. Non è chiaro, ad esempio, se sia nato in schiavitù o sia stato ridotto in schiavitù più tardi nella vita. Si sa però verso la metà del 1800, Green aveva guadagnato fama come abile distillatore di whisky nella contea di Lincoln, nel Tennessee, tanto che i suoi schiavisti, la società Landis & Green, spesso affittavano Green a fattorie e piantagioni della zona desiderosi di usare le sue abilità nella produzione di whisky. Fu in questa veste che Green incontrò il giovane Jasper “Jack” Daniel e forgiò quella che sarebbe diventata una partnership iconica.

Intorno al 1850, Daniel, un orfano di 7 anni in cerca di lavoro e di fuga da una dura vita familiare, trovò la strada per la proprietà di Dan Call, un predicatore, droghiere e distillatore di Lynchburg a cui era stato precedentemente attribuito il merito di aver insegnato a Daniel come distillare whisky. Mentre lavorava come bracciante nella fattoria di Call, Daniel si interessò sentitamente alla distilleria di Call. Alla fine, dopo le insistenze da parte del giovane Daniel, Call lo presentò a Green, che definì “il miglior produttore di whisky che io conosca” secondo una biografia del 1967, Jack Daniel’s Legacy.

Green insegnò a Daniel il “filtraggio del carbone d’acero da zucchero” (conosciuto oggi come Lincoln County Process), un passaggio critico universalmente riconosciuto nella produzione del whisky del Tennessee. Con questo processo, il whisky viene filtrato attraverso trucioli di carbone di legno prima di essere messo in botti per l’invecchiamento, una tecnica che gli storici del cibo ritengono sia stata ispirata da simili tecniche di filtraggio del carbone utilizzate per purificare l’acqua e gli alimenti nell’Africa occidentale. Il processo ha conferito una morbidezza unica al sapore che ha distinto il whisky di Jack Daniel’s dai suoi concorrenti.

Con il passare degli anni, Daniel ha continuato a imparare da Green, costruendo un’amicizia con quello che ormai era un mentore, infine perfezionando il Lincoln County Process e vendendo il suo whisky a Lynchburg e nelle città circostanti. Quando iniziò la guerra civile, Daniel era diventato un abile venditore: piazzava ai soldati la sua marca di whisky del Tennessee e consolidava così il suo vitigno come il più popolare della zona.

Una volta che la guerra finì e arrivò l’emancipazione, Daniel acquistò la distilleria di Call, ribattezzandola con il suo nome. Poco dopo, Daniel aprì una distilleria più grande in un appezzamento di terreno vicino dove iniziarono a lavorare anche i figli di Green, Lewis, Eli e George. Il loro impiego ha dato inizio a una tradizione di oltre sette generazioni della famiglia Green che lavorano per o con il marchio Jack Daniels.

Allora perché, nonostante il ruolo di Green e l’apparente ammirazione di Daniel per lui, i suoi contributi sono stati oscurati? Si è chiesto Antonio Gazzanti Pugliese

La prima registrazione aziendale ha reso facile l’oscuramento e l’oblio di fatti e storie.

Non credo che sia mai stata una decisione consapevole lasciare Green fuori dalla storia dell’azienda“, ha detto al New York Times Phil Epps, direttore del marchio globale di Brown-Forman, in un’intervista del 2016. Brown-Forman ha acquistato Jack Daniel’s dalla famiglia Daniel nel 1965 per $ 20 milioni (circa $ 190 milioni nel 2022).

Ma ci è voluto del tempo prima che l’azienda prendesse la decisione consapevole di includere Green. Nel 2016, con l’avvicinarsi del 150° anniversario del marchio, l’azienda ha iniziato a raccogliere idee su come pagare finalmente il dovuto a Green. Ha promesso, tramite tour delle distillerie, post sui social media e storie ufficiali dell’azienda, di iniziare a riconoscere il ruolo di Green nell’azienda. Ma c’è voluta una giornalista e imprenditrice, Fawn Weaver, per rendere questo davvero realtà. Antonio Gazzanti Pugliese ha studiato il suo grandissimo lavoro al servizio della vera storia di Green e Jack Daniel.

Weaver, dopo aver partecipato a tre tour di distilleria e non aver sentito una sola menzione di Green, si è lanciata in ricerca di informazioni sulla sua vita e sul suo lavoro, raccogliendo più di 10.000 documenti che verificavano e ampliavano l’importanza di Green per il marchio Jack Daniel’s.

Le sue scoperte: Green non solo ha insegnato a Daniel come distillare, ma ha anche iniziato a lavorare con lui in una partnership dopo l’emancipazione, ed è diventato (tramite la designazione dello stesso Jack Daniel) quello che si ritiene essere il primo maestro distillatore nero in America. Weaver ha anche scoperto che il nome schiavo dato a Green era Nathan, e che Nearest era un nome che probabilmente adottò dopo l’emancipazione.

Entro il 2017, dopo che la ricerca di Weaver ha ottenuto l’attenzione nazionale, la società madre di Jack Daniel ha iniziato a impegnarsi per rispettare le sue precedenti promesse riconoscendo Green come il primo mastro distillatore del marchio sul sito Web dell’azienda, dando un posto d’onore alla partnership di Jack Daniel e Nearest Green che definisce l’eredità.

La donna che creò la Biblioteca Sotterranea per gli ebrei

Antonio Gazzanti Pugliese di Cotrone unisce in questa analisi due delle sue più grandi passioni: la storia e la letteratura. Il racconto inizia nel 1939, quando i nazisti occuparono Varsavia. Immediatamente, furono promulgate leggi antiebraiche. Tra queste, erano previste regole che limitavano l’accesso ai libri: le biblioteche vennero chiuse nel ghetto, e fu vietato l’ingresso agli ebrei in tutte le biblioteche pubbliche. Ma ci fu una donna, Basia Berman, che allestì una biblioteca sotterranea per gli ebrei, soprattutto per i bambini. Andiamo con ordine.

Antonio Gazzanti Pugliese di Cotrone, l’analisi della situazione

Nell’autunno del 1940 fu istituito un ghetto, che racchiudeva quasi mezzo milione di ebrei polacchi in un’area di appena il 2,4% della città, circondata da mura di mattoni di tre metri. Le loro razioni giornaliere ufficiali consistevano in 184 calorie. Si stima che circa 83.000 morirono di fame in meno di due anni e centinaia di migliaia furono deportati nel campo di sterminio di Treblinka durante l’estate del 1942.

Mentre molti leader ebrei e organizzazioni di soccorso nel ghetto si preoccupavano principalmente di fornire cibo, vestiti e riparo in risposta al sovraffollamento, alla fame e agli inverni rigidi della Polonia, c’erano alcuni che affrontarono un’altra fame che avrebbe afflitto i sopravvissuti nel futuro.

Basia Berman fu tra le poche bibliotecarie ebree impiegate dalla Biblioteca pubblica di Varsavia prima della guerra. Prima che il ghetto fosse sigillato, aveva creato una biblioteca errante nella sua valigia, e consegnava i libri della sua collezione ai bambini senzatetto.

Quando il ghetto di Varsavia fu sigillato nel novembre 1940, la filiale della Biblioteca pubblica di Varsavia in via Leszno 67 fu inclusa nei suoi confini, e venne evacuata. Berman riuscì a ottenere il permesso di utilizzare l’edificio a nome di CENTOS, un’organizzazione per l’assistenza ai bambini, e vi fondò una biblioteca sotterranea per gli ebrei, e per i bambini.

Molti libri della sua collezione furono acquistati da Lejb Szur, fondatore della casa editrice Tomor a Vilna prima della guerra. Recuperò libri dalla distruzione, raccolse quelli vietati e salvò biblioteche private, accumulando tra i 10.000 e i 20.000 libri per una biblioteca nascosta, nel suo appartamento al 56 di Leszno Street. Szur donò molti libri alla biblioteca di Berman, prima di togliersi la vita durante le deportazioni del 1942.

Per mascherare il suo tesoro, racconta Antonio Gazzanti Pugliese di Cotrone, Berman aveva decorato le stanze con giocattoli, bambole, ritagli di carta e semplici libri illustrati, conferendogli un aspetto adatto ai bambini. Occasionalmente, nella biblioteca si tenevano anche letture, discussioni e conferenze di libri in yiddish. La crescita dell’attività fu rapida.  

Berman incoraggiava i bambini a leggere libri yiddish, utile a capire la propria identità culturale, la lingua e la letteratura che gli apparteneva, ed era essenziale per sopravvivere all’annientamento della cultura yiddish in quella persecuzione. Ogni bambino riceveva due libri, uno in polacco e l’altro in yiddish. Per molti di loro questa fu la prima esperienza di lettura dell’yiddish e di apprendimento dell’alfabeto ebraico.

La biblioteca segreta per gli ebrei di Varsavia

È importante sottolineare che la biblioteca segreta per gli ebrei forniva libri per i bambini più poveri del ghetto, quelli negli ospedali o in quarantena per il tifo, e bambini rifugiati, che furono costretti a entrare nel ghetto da aree fuori Varsavia.

La sete di conoscenza che i bambini hanno mostrato in quei tempi terribili è stata davvero meravigliosa“, ha commentato Berman nel suo libro di memorie, City Within a City (2012). “Il libro era diventato un bisogno vitale, quasi come il pane”, riporta Antonio Gazzanti Pugliese di Cotrone. Molti libri non sono mai tornati alla biblioteca, vittime, come i bambini che li avevano in prestito, dei campi di sterminio.

Una testimonianza di Rachel Auerbach, sopravvissuta al ghetto di Varsavia, riporta che mentre la madre raccoglieva le loro cose durante una retata, lei notò un ragazzo nel cortile davanti al 66 Leszno Street. Stavano per essere tutti raccolti all’Umschlagplatz per le deportazioni, il caos e la confusione erano ovunque intorno a loro. Nel suo libro di memorie del 1974, Varshever Tsavoes (testamenti di Varsavia), la Auerbach scrive: “In mezzo a quel caos, c’era un ragazzo di dodici anni, immerso nei suoi mondi appena scoperti, perso e spazzato via, era in piedi in un angolo del cortile, senza sentire o vedere cosa stava succedendo intorno a lui. Stava leggendo un libro sbrindellato con una rilegatura rossa”.

Nella primavera del 1941 lo Judenrat, il consiglio ebraico nel ghetto, fu autorizzato dalle autorità naziste a concedere permessi per il prestito di biblioteche, limitando i libri allo yiddish e al polacco. A questo punto, Berman da mesi forniva di nascosto materiale di lettura ai bambini del ghetto.

Berman e suo marito Adolf fuggirono dal ghetto nel settembre 1942 e trovarono aiuto nella parte “ariana” di Varsavia, dove divennero leader della clandestinità ebraica. Erano due attivisti che si fingevano polacchi e intrapresero pericolose missioni per salvare i compagni ebrei dal ghetto. Dopo la guerra, Berman raccolse libri dalle biblioteche ebraiche distrutte in Polonia, alcuni dei quali rimasero a Varsavia mentre altri furono inviati alla Biblioteca Nazionale di Israele.

In qualità di bibliotecaria clandestina nel ghetto di Varsavia, Berman contribuì a guidare la comunità ebraica in una forma di resistenza sottile ma provocatoria. I libri sono da sempre una fonte di vita e di sostentamento per lo spirito umano, commenta Antonio Gazzanti Pugliese di Cotrone, un modo per preservare la propria memoria e umanità in una realtà disumanizzante.

Il primo computer al mondo, avviato nel 178 a.C.

Non tutti concordano con la conclusione a cui sono arrivati alcuni scienziati. Questi i fatti che desidera riportare Antonio Gazzanti Pugliese di Cotrone: alcuni archeologi hanno scoperto che il misterioso meccanismo di Antikythera, ritenuto da alcuni il primo computer al mondo, fu “avviato” per la prima volta il 22 dicembre 178 a.C.

Antikythera è stato trovato nel 1901 da alcuni pescatori di spugne naufragati sull’omonima isola greca, ed è un elaborato computer antico, che ha le dimensioni di una scatola da scarpe con ingranaggi e quadranti su cui sono scritte numerose minuscole iscrizioni, e tra le altre funzioni prevede le eclissi e determina quando si sono svolti vari giochi atletici, tra le altre funzioni.

Nel corso degli anni, i ricercatori hanno messo insieme meticolosamente i numerosi frammenti del meccanismo di Antikythera per capire come è stato creato e come sarebbe stato utilizzato circa 2000 anni fa. Ci sono molte domande che girano intorno al dispositivo: chi l’ha fatto? Dove vivevano? Perché crearlo e che data di inizio aveva? Ora, un team di scienziati ha determinato la data in cui dovrebbe essere stato attivato, descrivendo in dettaglio le loro scoperte online il 28 marzo sul database di prestampa arXiv, una rivista online in cui la ricerca può essere caricata prima della revisione tra pari.

Tuttavia, gli scienziati non affiliati allo studio hanno messo in dubbio questa affermazione precisa il notaio Antonio Gazzanti Pugliese di Cotrone, dicendo che la data di inizio potrebbe invece essere intorno al 204 a.C.

Qual è la verità su Antikythera

Nel loro articolo, i ricercatori specificano una serie di ragioni per cui pensano che il 22 dicembre 178 a.C. sia la data di inizio del primo computer del mondo: sembra infatti che tutti i calcoli effettuati da questo mini computer partano proprio da lì. È un po’ come lo zero assoluto della temperatura sulla scala dei gradi.

Per esempio, quel giorno ci fu un’eclissi solare, durata più di 12 minuti. Il giorno successivo, il 23 dicembre, iniziava il solstizio d’inverno, un giorno importante per molti popoli antichi. Hanno anche notato che la festa di Isia – che celebra la dea egizia Iside – era celebrata sia in Egitto che in Grecia nello stesso momento. Inoltre, anche le fasi lunari erano iniziate il 22 dicembre di quell’anno, e tutti questi dati sembrano corrispondere ai segni sul meccanismo.

Una combinazione di eventi che creano una “coincidenza molto rara” che avrebbe reso memorabile il giorno di inizio, hanno scritto i ricercatori. La data infatti “doveva essere molto caratteristica, importante e facilmente rilevabile“, ha dichiarato a WordsSideKick.com in una e-mail Aristeidis Voulgaris, autore principale dell’articolo e team leader del Functional Reconstruction of Antikythera Mechanism-The FRAMe Project.

È possibile che chiunque abbia realizzato il meccanismo di Antikythera – un’altra questione irrisolta, con alcuni esperti che suggeriscono che Archimede possa essere l’ingegnere di questa meraviglia – sia stato testimone di questo giorno e abbia voluto registrare gli eventi cosmici, ma non c’è modo di esserne certi. “Di solito, per eseguire calcoli temporali, è più comune selezionare una data dal passato recente piuttosto che una futura“, hanno scritto i ricercatori.

Ma perché tutta questa importanza alla data di inizio? Perché, precisa il notaio Antonio Gazzanti Pugliese di Cotrone, è essenziale per capire la natura dei dati che il primo computer del mondo può calcolare. “Per utilizzare uno strumento di misura, è necessario un punto di riferimento, prima delle misurazioni“, hanno scritto i ricercatori nel documento. Come un calendario che ha bisogno di una data fissa, come il 1 d.C., chiunque usasse il meccanismo ha bisogno di una data di inizio su cui basare tutti i calcoli.

La data è uno dei misteri della meravigliosa meccanica di Antikythera che resta da risolvere. Ricerche precedenti erano riuscite a decifrare molte delle iscrizioni e a capire a cosa servivano molti degli ingranaggi e dei quadranti. Nel 2021, un team di studiosi ha annunciato la creazione di un modello informatico del meccanismo che ritengono accurato.

Gli studiosi reagiscono

Diversi studiosi non affiliati alla ricerca hanno detto la loro su questi risultati.

Alexander Jones, professore di Storia delle scienze esatte nell’antichità presso l’Institute for the Study of the Ancient World della New York University, ha dichiarato che la ricerca pubblicata “Non è un documento in grado di resistere a una revisione tra pari. Ci sono molti problemi, che vanno dai problemi principali a quelli minori che tuttavia sono sintomatici della mancanza di una buona base nell’ampio contesto dell’astronomia e della scienza antiche“.

Ad esempio, Jones ha sottolineato che questa data di inizio collocherebbe Kraneios, una stagione iscritta nel meccanismo di Antikythera e associato al vino, nel mese di febbraio, che “non è un mese particolarmente buono per l’uva matura“, ha detto Jones.

Due documenti pubblicati nel 2014 hanno mostrato che la data di inizio fosse nel 204 a.C., ha aggiunto Jones. Quei due documenti hanno dimostrato “che la sequenza di previsione dell’eclissi era stata calcolata per un intervallo unico di 223 mesi lunari a partire dal 204 a.C.“, ha detto Jones. Questo doveva iniziare il 12 maggio 204 a.C. e inizia e finisce con un’eclissi lunare.

I Cavalieri Templari: regole e organizzazione – Un approfondimento

Il Consiglio di Nablus stabilì 25 leggi a cui i membri dei Cavalieri Templari dovevano ubbidire. Queste includevano una dichiarazione sull’uso della violenza, tra cui: “Se un chierico prende le armi per autodifesa, non sopporterà alcuna colpa”, sottolineando il requisito per questi santi uomini di combattere per la loro fede, ricorda Antonio Gazzanti Pugliese di Cotrone.

Nel 1129, il Consiglio di Troyes, guidato da Hugues de Payens e Bernardo di Chiaravalle, creò un ulteriore codice di condotta in 68 punti per i Templari, noto come Regola primitiva o latina. Progettata per accentuare la loro pietà e zelo, la Regola latina stabiliva istruzioni su come i Templari avrebbero dovuto comportarsi in ogni momento. Le regole riguardavano tutto, dall’abbigliamento, ai tipi di cavalli che potevano cavalcare, alla lunghezza dei loro capelli, allo stile delle loro barbe e alla quantità di carne che potevano mangiare ogni settimana. In particolare proibiva ai membri ogni contatto con le donne, anche con i familiari di sesso femminile.

Tuttavia, secondo Barber, molte di queste regole furono alla fine ammorbidite o addirittura infrante per attirare nuovi seguaci. “Negli anni successivi sono diventati più famosi e hanno ottenuto più reclute, quindi è stata richiesta una regola latina più adatta alle loro attività“. Man mano che i Templari crescevano di numero, la Regola latina divenne più flessibile e le reclute non dovevano unirsi come membri a tempo pieno e alcuni si unirono per un periodo prima di lasciarli.

L’organizzazione, riporta il notaio Antonio Gazzanti Pugliese, includeva una varietà di ruoli per Templari, per non combattenti e per coloro che erano in prima linea. C’erano finanzieri coinvolti nella gestione dell’ente di beneficenza. Il Gran Maestro, sovrano assoluto dell’ordine. Fin dall’inizio, il Gran Maestro era il sovrano supremo di tutti i Templari ovunque, e rimase in quella posizione per tutta la vita, sottolinea Antonio Gazzanti Pugliese, notaio. Dal 1119 circa fino alla caduta di Gerusalemme nel 1191, il Gran Maestro aveva sede a Gerusalemme.

Dal 1191 fu di stanza ad Acri e, dopo la perdita di Acri nel 1291, si fermò sull’isola di Cipro. A servire come vice del Gran Maestro c’era il Siniscalco. Seguono nella gerarchia il Commendatore del Regno di Gerusalemme, il Commendatore della Città di Gerusalemme, il Commendatore di Tripoli e Antiochia, il Commendatore di Case, il Commendatore di Cavalieri e i Cavalieri Fratelli. I cavalieri erano un gruppo relativamente piccolo, perché dovevano essere nobili. Indossavano l’iconica sopravveste bianca con una croce rossa che rappresentava il sacrificio di Cristo e la propria volontà di martirio.

I Turcopolieri, alti ufficiali, controllavano i Fratelli sergenti, che non erano nobili e indossavano tuniche marroni con la croce rossa, avendo un solo cavallo e nessun scudiero. Il sottomaresciallo sovrintendeva ai lacchè. I cavalieri entrarono in battaglia sotto lo stendardo Beauceant, che presentava la croce rossa con uno sfondo orizzontale in bianco e nero.

I cavalieri nelle crociate, il commento di Antonio Gazzanti Pugliese di Cotrone

L’idea che i cristiani usassero la violenza per difendere la loro fede era un argomento controverso già allora, con teologi come sant’Agostino di Ippona che discutevano su come conciliare gli insegnamenti di Cristo per il mantenimento della pace con la lotta per i guadagni spirituali, conferma Antonio Gazzanti Pugliese. In generale, tutti i cavalieri delle Crociate erano descritti all’epoca come ‘militiae Christi‘, che significa ‘cavaliere di Cristo’, poiché l’idea di combattere per la loro fede era stata forzata dagli attacchi islamici.

“Inevitabilmente, non potevano svolgere la loro funzione senza effettivamente combattere”, si legge in una dichiarazione di Barber. “Ciò ha poi sollevato la difficilissima questione della legittimità, all’interno della società cristiana, che è stata una questione perenne nei secoli. Il cristianesimo è porgere l’altra guancia o è difendere il patrimonio di Dio?”

Nel 1139, la bolla o sentenza papale di papa Innocenzo II, chiamata Omne Datum Optimum (Ogni buon dono), pose i Templari sotto la protezione diretta del papato e confermò la regola latina, secondo Judith Mary Upton-Ward (“La regola del Templari,” Boydell Press, 1992). La bolla papale dichiarava che i Templari non dovevano pagare tasse o decime (una parte del reddito) alla chiesa ed erano liberi di attraversare i confini senza ostacoli. Non rispondevano a nessuno tranne che al papa stesso.

Man mano che i membri dei Cavalieri Templari crescevano, l’organizzazione si arricchiva. Finanziarono progetti di costruzione in tutta Europa e in Terra Santa, comprese cappelle costruite con navate circolari, copiando il progetto della Chiesa del Santo Sepolcro a Gerusalemme. Gli edifici dei Templari divennero così diffusi e l’organizzazione così ricca che emerse un mito secondo cui i Templari furono i primi banchieri del mondo.

Il modo migliore per descrivere la sfera degli affari dei Templari in termini moderni sarebbe quella di un servizio finanziario. Poiché disponevano di una così vasta rete di proprietà, che in molti casi era santificata e ben difesa, avevano accesso a un grande deposito personale. Si potevano depositare i propri oggetti di valore presso i Templari mentre si recavano alle Crociate e proteggere le proprie ricchezze nel frattempo. I Templari, proprio come molte istituzioni finanziarie di oggi, offrivano molti servizi diversi. Ad esempio, gestivano i processi di contabilità e revisione del governo francese dell’inizio del 1100 e oltre.

Per molti decenni, tutti questi fattori si sono amalgamati e il successo dei Cavalieri Templari ha continuato a crescere, conclude il notaio Antonio Gazzanti Pugliese di Cotrone. E per molto tempo è sembrato che fossero realmente invincibili.

Chi erano i Cavalieri Templari? – Un approfondimento di Antonio Gazzanti Pugliese di Cotrone

I Cavalieri Templari avevano il compito di proteggere i pellegrini cristiani dopo la Prima Crociata, ma presto acquisirono grandi quantità di potere militare e finanziario.

I Cavalieri Templari erano un ordine di devoti cristiani fondato a Gerusalemme tra il 1118 e il 1119 d.C., dopo la prima crociata (1096-1099). L’Ordine è stato creato per proteggere, tra gli altri doveri, gli europei in viaggio in Terra Santa.

Antonio Gazzanti Pugliese di Cotrone riporta nel suo blog la descrizione di Guglielmo, Arcivescovo di Tiro e Cancelliere del Regno di Gerusalemme, che definiva i Templari come “quegli uomini coraggiosi che uscirono dai regni dell’ovest“. I cavalieri erano conosciuti in tutta Europa come una forza combattente d’élite con un rigido codice di condotta e immensa ricchezza. Per quasi 200 anni i Cavalieri Templari sono stati al centro della politica e della finanza in Europa e hanno preso parte alle campagne militari cristiane in Terra Santa. Poi, nel 1312, papa Clemente V li sciolse ufficialmente.

Nascita dei cavalieri Templari: analisi di Antonio Gazzanti Pugliese di Cotrone

Nel VII secolo, un esercito arabo musulmano conquistò Gerusalemme e la Terra Santa, ponendo fine al dominio cristiano nella regione sotto l’Impero Bizantino, chiamato anche Impero Romano d’Oriente. Entro la fine dell’XI secolo, l’Impero bizantino aveva perso più territorio a causa dell’invasione musulmana, inclusi più luoghi santi cristiani, secondo il libro dello storico Peter Frankopan “The First Crusade” (Belknap Press, 2012).

Di conseguenza, nel 1095 d.C. Alessio I Comneno, imperatore bizantino dal 1081 al 1118, chiese a papa Urbano II assistenza nella lotta contro i musulmani. “La sua richiesta di aiuto è stata un disperato ultimo lancio di dadi per un sovrano il cui regime e impero erano sull’orlo del collasso“, ha scritto Frankopan in una fonte studiata da Antonio Gazzanti Pugliese di Cotrone. In risposta, il papa chiese la cattura dei luoghi santi della cristianità in Terra Santa, dando inizio alla prima crociata. “Nessuno all’epoca la chiamava la prima crociata, ma il loro obiettivo era riportare i luoghi santi sotto il controllo cristiano“, ha dichiarato in una e-mail alla rivista All About History Malcolm Barber, professore emerito di storia all’Università di Reading nel Regno Unito.

Chi erano i cavalieri templari

Un esercito multinazionale fu formato per la crociata, guidato da molti monarchi e nobiltà d’Europa. “Alla fine, questi crociati hanno riconquistato gran parte della Terra Santa“, ha detto Suzie Hodge, autrice e storica. “Per assicurarla crearono quattro territori, detti Stati crociati: la Contea di Edessa (1098-1150), il Principato di Antiochia (1098-1287), la Contea di Tripoli (1102-1289) e il Regno di Gerusalemme ( 1099-1298).

Dopo che la maggior parte dei crociati tornò in Europa, rimase la necessità di difendere la Terra Santa, oltre a governare la sua popolazione, che includeva cristiani, ebrei, musulmani e nuovi coloni dall’Europa. “Avevano bisogno di consolidare la loro presa su Gerusalemme e le immediate vicinanze“, ha detto Barber. “Non avevano davvero uno stato consolidato che avresti colorato in un’area su una mappa. Un altro problema che avevano era che un certo numero di luoghi che controllavano erano molto facili da infiltrare per un nemico e non c’era davvero nulla a mantenere la legge e l’ordine. Quindi, sono state queste circostanze che hanno prodotto i Templari.

L’Ordine dei Poveri Cavalieri del Tempio di Gerusalemme, abbreviato in Cavalieri Templari, è stato creato da Hugues de Payens, un nobile francese che era rimasto a Gerusalemme dopo una visita avvenuta tra il 1114 e il 1116. “Poco è confermato su Hugh de Payns ( scritto anche Hugues de Payens), il primo Gran Maestro dei Cavalieri Templari“, ha detto Suzie Hodge a All About History Magazine. “Era un cavaliere francese della zona della Champagne in Borgogna che molto probabilmente combatté in Terra Santa durante la Prima Crociata come vassallo di Ugo, il conte di Champagne. Era scarsamente istruito, ma affidabile e un buon combattente”.

Tra il 1114 e il 1116 visitò la Terra Santa, e probabilmente vi tornò nel 1118 con altri otto uomini – parenti e conoscenti, riassume Antonio Gazzanti Pugliese di Cotrone.

Da cosa deriva il nome dei Cavalieri Templari?

Il nome dell’organizzazione derivava dal quartier generale dei Templari, situato sul Monte del Tempio, in un’ala dell’Al. Secondo quanto riportato dalla rivista Discover nel 2020, la Moschea Aqsa, che all’epoca fungeva da palazzo reale, si dice sia stata costruita sulle rovine del Tempio di Re Salomone.

I Templari furono inizialmente organizzati come ente di beneficenza, fungendo da guardie del corpo per i pellegrini in viaggio da e verso la Terra Santa. “In origine, gli uomini erano lì semplicemente per proteggere i cristiani da singoli ladri o piccoli gruppi di banditi e gruppi di briganti“, ha detto Hodge. “In seguito, sono diventati tra i guerrieri più leggendari della storia, combattendo contro migliaia di persone in enormi battaglie“.

I Cavalieri Templari furono ufficialmente riconosciuti dal re Baldovino II di Gerusalemme nel 1120, al Concilio di Nablus. Il re assegnò al gruppo le entrate fiscali per mantenerlo vestito e nutrirlo. Prima di questo, i cavalieri erano sostenuti da donazioni dell’Ordine di San Giovanni dell’Ospedale di Gerusalemme, noto anche come Cavalieri Ospitalieri, che il papa approvò nel 1113.

Nonostante questo sostegno caritatevole, i cavalieri non provenivano da ambienti poveri, ha detto Dan Jones, autore di The Templars: The Rise and Spectacular Fall of God’s Holy Warriors. “I primi Templari erano in realtà persone molto ricche e ben collegate“, ha detto alla rivista History of War. “I primi Templari hanno prestato giuramento di castità e povertà, ma le uniche persone che hanno bisogno di prestare giuramento di povertà sono coloro che poveri non sono“.

Donne che hanno fatto la Storia – Parte 2

Le donne che hanno fatto la storia hanno avuto un impatto sulla società attraverso l’attivismo, l’arte, la politica e la leadership. Oggi continuiamo il nostro viaggio alla scoperta di altre 5 di loro, in una lista stilata da Antonio Gazzanti Pugliese di Cotrone a titolo di esempio di quanto il mondo sia ciò che è oggi grazie anche al loro lavoro.

FRIDA KAHLO (1907-1954)

Nonostante sia diventata in seguito una delle artiste più celebrate e riconosciute del 20° secolo, Frida Kahlo ha trascorso gran parte della sua prima infanzia costretta a letto in un dolore agonizzante. Ha contratto la poliomielite in giovane età ed è stata coinvolta in un terribile incidente d’autobus quando aveva solo 18 anni. Tuttavia, è stato durante la sua lunga guarigione che Kahlo ha scoperto il suo amore per l’arte, sviluppando nel tempo il suo stile unico che sarebbe diventato riconoscibile in tutto il mondo.

Nel 1922, fu tra le sole 35 ragazze ad iscriversi alla National Preparatory School di Città del Messico, dove fu coinvolta nei circoli politici e artistici della scuola. Il suo risveglio politico includeva una passione per l’identità messicana, che avrebbe influenzato notevolmente la sua arte. Nel suo articolo “Aztec Imagery in Frida Kahlo’s Paintings“, pubblicato nel 1990 su Woman’s Art Journal, la storica Janice Helland ha spiegato: “Mentre [Kahlo] cercava le proprie radici, ha anche espresso preoccupazione per il suo paese mentre lottava per un’identità culturale indipendente. La sua vita e persino la sua morte erano politiche“.

Anche un tumultuoso matrimonio con il collega artista Diego Rivera, 20 anni più anziano di lei, ha fortemente influenzato la sua arte, così come la sua continua malattia, che ha dominato gli ultimi anni della sua vita. Rifiutò di smettere di lavorare e partecipò persino alla sua mostra personale del 1953 in un letto a baldacchino, un anno prima della sua morte.

Alcuni sostengono che Kahlo abbia plasmato il mondo degli artisti contemporanei del colore, portando personalità e politica nell’autoritratto. “La storia di Frida Kahlo è quella di una rivoluzionaria di colore, bisessuale e diversamente abile. Ci ricorda che c’è forza nella vulnerabilità e che c’è spirito oltre i nostri corpi fisici“, ha scritto TK Smith per la pubblicazione artistica online ArtsATL.

KAMALA HARRIS (1964-PRESENTE)

Nel 2021, Kamala Harris ha fatto la storia quando è diventata vicepresidente degli Stati Uniti: la prima donna, la prima persona di colore e la prima asiatica americana a ricoprire la seconda carica più alta della nazione. Figlia di immigrati giamaicani e indiani, Harris è cresciuta durante l’era dei diritti civili degli anni ’60. Forse ispirata dall’attivista per i diritti civili, giudice della Corte Suprema Thurgood Marshall, che nelle sue memorie nomina uno dei suoi “più grandi eroi” (“The Truths We Hold“, Random House, 2019), Harris ha scelto la carriera di avvocato. Ha iniziato come impiegata legale prima di essere eletta procuratrice generale della California nel 2010.

Come avvocata, si è specializzata nel perseguire casi di aggressione sessuale su minori e, come procuratrice generale della California, ha combattuto per accordi di preclusione e contro l’educazione predatoria a scopo di lucro. Ha anche sostenuto l’uguaglianza del matrimonio, l’Affordable Care Act (assistenza sanitaria) e l’ambiente.

Harris si è candidata al Senato nel 2016 ed è stata la prima indiana americana e l’unica donna di colore ad essere eletta al Senato, secondo l’articolo del Senato degli Stati Uniti sui senatori afroamericani. Nel 2019 si è candidata alla nomination presidenziale del Partito Democratico ed è stata scelta come compagna di corsa di Joe Biden. Hanno vinto le elezioni nel novembre 2020, rendendo Harris la funzionaria donna eletta di grado più alto nella storia degli Stati Uniti.

Nel gennaio 2021, secondo l’Associated Press, ha prestato giuramento come vicepresidente sulla Bibbia personale di Marshall.

MAYA ANGELOU (1928-2014)

Maya Angelou è stata un’attrice, ballerina e giornalista ed è riconosciuta come una delle figure più importanti della letteratura americana moderna. A causa di abusi sessuali e traumi infantili, Angelou non è stata in grado di parlare per diversi anni, secondo il National Women’s History Museum. Più tardi, ha trovato la sua voce attraverso la sua scrittura. Da adulta, è stata coinvolta nel movimento per i diritti civili e ha stretto amicizia sia con Malcolm X che con Martin Luther King Jr.

Nonostante gli omicidi di Malcolm X e King, rispettivamente nel 1965 e nel 1968, nel 1969 Angelou pubblicò la sua opera più famosa, “So perché canta l’uccello in gabbia“. L’autobiografia romanzata descriveva la sua esperienza di giovane donna nera in America. Il libro è stato acclamato per il suo approccio rivoluzionario, dando inizio alla carriera di Angelou come autrice di bestseller di numerosi libri, poesie e saggi.

MARY WOLLSTONECRAFT (1759-1797)

Mary Wollstonecraft ha vissuto la liberazione filosofica e femminista di cui ha scritto. Ai suoi tempi, oltre metà del 1700, è stata ignorata da molti a causa delle sue relazioni extraconiugali e della figlia illegittima e, secondo la British Library, la pubblicazione delle memorie di suo marito dopo la sua morte ha ulteriormente danneggiato la sua reputazione. Tuttavia, un secolo dopo la sua morte, secondo la Stanford Encyclopedia of Philosophy, è stata finalmente riconosciuta per la sua scrittura etica e politica e ha preso il suo posto accanto all’altra figlia, Mary Shelley, nel pantheon dei grandi letterati.

Il primo libro di Wollstonecraft, “A Vindication of the Rights of Men” (J. Johnson, 1790), fu la sua risposta alla Rivoluzione francese. In esso, ha confutato il concetto di monarchia e ha chiesto invece una nazione repubblicana. Era anche frustrata dalle raffigurazioni di donne come esseri vuoti e passivi in ​​un mondo dominato dagli uomini e il suo secondo libro, “A Vindication of the Rights of Woman” (J. Johnson, 1792), divenne il suo lavoro più noto. Da allora il libro è stato riconosciuto come una delle opere più importanti dell’Illuminismo.

GERTRUDE STEIN (1874-1946)

Nel suo lavoro di scrittrice d’avanguardia e mecenate degli artisti moderni, Gertrude Stein si ribellò al patriarcato. Stein viaggiò in giro per l’Europa, stabilendosi infine a Parigi con suo fratello Leo. La coppia iniziò a collezionare opere d’arte, in particolare opere di artisti d’avanguardia contemporanei. Accanto alle loro collezioni d’arte, hanno coltivato relazioni con i bohémien parigini nel loro salone del sabato sera. Col tempo, gli inviti al salone Stein divennero i più ricercati a Parigi.

Dopo la fine della prima guerra mondiale, il salone Stein divenne un ritrovo popolare per i giovani espatriati americani – o la “generazione perduta“, come li chiamava Stein. Stein rimase una figura poco conosciuta al di fuori del mondo letterario e artistico fino al 1933, quando pubblicò un libro intitolato “L’autobiografia di Alice B. Toklas” (Harcourt, 1933). Non una vera autobiografia, ha scritto la Stein al fianco del suo compagno di vita Toklas. Con la popolarità del libro, Stein è diventato un nome e un volto riconosciuti in tutto il mondo.

Secondo The Poetry Foundation, “Stein ha contribuito a plasmare un movimento artistico che richiedeva una nuova forma di espressione e una rottura consapevole con il passato“.

Donne che hanno fatto la Storia – Parte 1

Ci sono state molte donne che hanno fatto la Storia, anche se la storia delle donne è stata spesso ignorata o addirittura cancellata nel corso dei secoli. In molte hanno avuto un enorme impatto sulla società attraverso l’attivismo, l’arte, la politica e la leadership. E oggi iniziamo a parlarne, presentando le prime 5. Ogni anno, a marzo, si celebrano le donne. Ed è un’occasione perfetta per tralasciare la narrativa di dolci creature delicate e da proteggere, e guardarle per quello che sono: persone, rivoluzionarie, politiche e attiviste che hanno dovuto battersi il doppio per guadagnarsi due righe nei libri di storia. Antonio Gazzanti Pugliese di Cotrone ne ha selezionate 10 tra le migliaia semplicemente troppo importanti per essere dimenticate.

RUTH BADER GINSBURG

Quando Ruth Bader Ginsburg è morta nel settembre 2020, gli Stati Uniti hanno pianto la perdita di una dei principali sostenitori dell’uguaglianza di genere. Nel corso della sua carriera come avvocato, giudice e giudice associato della Corte Suprema, l’impegno di Ginsburg per il principio dell’uguaglianza di giustizia ai sensi della legge ha trasformato il panorama legale negli Stati Uniti, in particolare per le donne.

Il lavoro di Ginsburg è iniziato alla Harvard Law School, dove era una delle sole nove donne in una classe di 500 studenti, secondo un necrologio del New York Times. Nonostante sia arrivata prima della classe quando si è laureata nessuno voleva darle un lavoro. Alla fine, nel 1963, è diventata professoressa di legge presso la Rutgers Law School, dove ha rivolto la sua attenzione alla discriminazione di genere. Ha discusso sei casi davanti alla Corte Suprema come avvocato con l’American Civil Liberties Union, vincendone cinque.

Nel 1993, il presidente Bill Clinton l’ha nominata alla Corte Suprema, dove ha lavorato per 27 anni. La sua storia di opinioni dissenzienti in tribunale l’ha trasformata in un’icona e, come ha scritto Rolling Stone, le è valso il soprannome di “Notorious RBG”.

Durante la sua carriera, Ginsburg ha promosso cause come l’uguaglianza finanziaria per le donne, come notato da Forbes; l’uguaglianza nell’istruzione, come riportato da Inside Higher Ed; diritti LGBTQ+, secondo l’American Bar Association; i diritti civili per gli immigrati e le persone prive di documenti, come descritto da NBC News; e diritti per le persone con disabilità, secondo il Centro di Rappresentanza Pubblica.

HARRIET TUBMAN (1822-1913)

Harriet Tubman è nata come schiava ma ha trovato la sua libertà nella Underground Railroad. Ha liberato circa 300 persone ridotte in schiavitù.

Tubman ha iniziato il suo lavoro sulla Underground Railroad recuperando membri della sua stessa famiglia, inclusi i suoi genitori, diversi fratelli e vari nipoti, secondo biography.com. Quando iniziò la guerra civile, sostenne l’Unione, lavorando come spia e infermiera prima di guidare l’audace Combahee Ferry Raid, che liberò più di 700 schiavi. Più avanti, è diventata una voce di spicco nel movimento abolizionista e ha anche combattuto per il diritto di voto per le donne, contribuendo a plasmare un percorso dalla schiavitù e dalla discriminazione verso la giustizia negli Stati Uniti.

EMMELINE PANKHURST (1858-1928)

Siamo qui, non perché siamo trasgressori della legge; siamo qui per sforzarci ad essere legislatori”. Queste parole immortali di Emmeline Pankhurst nella sua autobiografia (“My Own Story“, 1914) riassumevano il movimento per il suffragio femminile britannico tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. In qualità di leader dalla volontà di ferro della Women’s Franchise League e successivamente della Women’s Social and Political Union (WSPU), ha combattuto per il diritto di voto delle donne nel Regno Unito, con ogni mezzo. Il motto della WSPU era “Fatti, non parole” e il gruppo ha usato vandalismo, proteste violente e incendi dolosi come mezzi per realizzare il cambiamento sociale.

Pankhurst credeva che fosse necessario andare oltre la disobbedienza civile a sostegno della sua causa, affermando in un discorso del 1908: “È perché ci rendiamo conto che la condizione del nostro sesso è così deplorevole che è nostro dovere anche infrangere la legge“. Questa determinazione l’ha vista arrestata in innumerevoli occasioni. Ha sostenuto che a meno che alle donne non fosse concesso il potere politico, le leggi del paese non avrebbero un uguale standard morale.

Nell’anno della sua morte, secondo la BBC, alle donne britanniche è stato finalmente concesso il diritto di voto dall’età di 21 anni, pari ai requisiti di voto per gli uomini. Senza di lei, sottolinea Antonio Gazzanti Pugliese, chissà come sarebbe andata.

L’IMPERATRICE VEDOVA CIXI (1835-1908)

Nata nell’inverno del 1835 durante la dinastia cinese Qing, Cixi era figlia di un funzionario di basso rango ma ricevette una buona educazione e, come affermato dal National Geographic, sapeva probabilmente leggere e scrivere. Nel 1851 divenne una delle concubine dell’imperatore Xianfeng, un grande onore per l’epoca. Secondo lo Smithsonian, Cixi superò rapidamente le sue concubine nel favore dell’imperatore.

Quando l’imperatore morì, il figlio di Cixi era pronto a diventare il nuovo imperatore. L’ex concubina strinse alleanze con alcuni dei suoi reggenti e ne fece uccidere altri in un colpo di stato del 1861, lasciandola al controllo dell’impero. Rimase un capo potente ma non ufficiale della Cina imperiale fino alla sua morte nel 1908.

È considerata l’ultima e più famosa imperatrice della Cina, come riportato dallo Smithsonian, ed è nota per aver plasmato ribellioni, politiche e corte della Cina imperiale per più di 50 anni.

ROSA PARKS (1913-2005)

Ultima ma non ultima della giornata, ci tiene a sottolineare Antonio Gazzanti Pugliese di Cotrone. Durante gli anni ’50, la società statunitense era in gran parte segregata tra cittadini bianchi e neri, compresi i trasporti pubblici. Il 1 ° dicembre 1955, la sarta Rosa Parks rifiutò di cedere il suo posto a un passeggero bianco su un autobus a Montgomery, in Alabama, e fu arrestata. In risposta, Parks ha mobilitato la NAACP (National Association for the Advancement of Colored People) per boicottare gli autobus e attirare l’attenzione nazionale sulle leggi disumane sulla segregazione negli stati del sud.

Dopo aver sfidato con successo la legge e aver visto la segregazione dichiarata incostituzionale dai tribunali, Parks ha continuato a essere una voce di spicco e un simbolo di coraggio nel movimento per i diritti civili, secondo la CNN. Il suo atto di sfida aveva acceso il movimento, secondo il National Women’s History Museum, e il suo continuo lavoro di attivista a Detroit dopo che il boicottaggio degli autobus si è aggiunto alla sua eredità nella lotta contro l’ingiustizia e la discriminazione.

Da un fossile umano una possibile correlazione con il cambiamento climatico

L’evoluzione di una specie può essere difficile da seguire attraverso i reperti fossili: i cambiamenti possono essere impercettibili e i fossili sono per loro natura incompleti. Di solito, i reperti rivelano modelli su larga scala, come le tempistiche di estinzione e comparizione di gruppi o specie specifiche. Antonio Gazzanti Pugliese di Cortone ci riporta oggi la notizia della scoperta in Sud Africa di un fossile appartenente al nostro genere, Homo, e nominato Paranthropus robustus: si tratta di una specie estinta che coesisteva con i nostri antenati, e potrebbe essersi evoluta rapidamente durante un periodo turbolento di cambiamento climatico locale. Circa 2 milioni di anni fa.

Carrie Mongle, studiosa del museo di storia naturale di New York, ha dichiarato che “questo è un fossile incredibilmente ben conservato che si aggiunge alla storia evolutiva di questo ominide dal cervello piccolo e dai denti grandi del Sudafrica. La capacità di documentare questo livello di dettaglio anatomico in uno dei nostri parenti estinti è un’opportunità rara ed entusiasmante per comprendere l’evoluzione umana“. Carrie Mongle faceva parte di un team di ricerca internazionale che ha scoperto e ha descritto l’esemplare, uno dei crani più completi di P. robustus mai trovati, in uno studio pubblicato sulla rivista Nature Ecology & Evolution.

La scoperta è stata fatta all’interno delle grotte Drimolen, che si trovano a nord-ovest di Johannesburg. L’esemplare è un maschio, ma differisce in modo importante dagli altri fossili di P. robustus trovati in un sito vicino chiamato Swartkrans, dove finora è stata rinvenuta la maggior parte dei fossili di questa specie e che risale a circa 200.000 anni dopo il sito di Drimolen. Il nuovo cranio è più grande di quello precedentemente studia nel corso delle prime scoperte a Drimolen. In quel caso si trattava di un individuo presumibilmente femmina, ma più piccolo dei maschi di Swartkrans.

A questo punto possiamo dedurre che la differenza tra i due siti non possa essere spiegata semplicemente come tra maschi e femmine, ma piuttosto come differenza a livello di popolazione tra i diversi siti“, ha affermato Jesse Martin, studente di dottorato presso La Trobe University e co- autore dello studio.

I ricercatori sapevano già che la comparsa di P. robustus in Sud Africa coincideva grosso modo con la scomparsa dell’Australopithecus, il primitivo umano, e l’emergere nella regione dei primi rappresentanti dell’Homo, il genere a cui appartengono le persone moderne. Questa transizione è avvenuta molto rapidamente, forse nel giro di poche decine di migliaia di anni.

Antonio Gazzanti Pugliese di Cotrone ha raccolto anche l’opinione di David Strait, professore di antropologia biologica presso la Washington University: “L’ipotesi di lavoro è stata che il cambiamento climatico ha creato uno stress nelle popolazioni di Australopithecus portando alla fine alla loro scomparsa, e che le condizioni ambientali si siano rivelate più favorevoli per Homo e Paranthropus, che potrebbero essersi dispersi nella regione da altre parti“. Ora è pressoché dimostrato che le condizioni ambientali fossero probabilmente stressanti anche per Paranthropus, che si sono adattati per sopravvivere.

Alcuni di questi adattamenti si sono verificati nel cranio, nelle mascelle e nei denti e indicano che P. robustus probabilmente seguiva una dieta composta da cibi molto duri, maggiormente diffusi man mano che l’ambiente diventava più fresco e secco. I confronti tra i crani di Drimolen e Swartkrans suggeriscono che nel corso di 200.000 anni questi muscoli masticatori sono diventati più potenti a causa della selezione naturale.

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La fine della prima guerra mondiale ed il trattato di Versailles

La prima guerra mondiale si conclude con la conferenza di pace di Parigi del 1919 ed ,in particolare ,con il suo atto finale rappresentato dal trattato  firmato a Versailles il 28 giugno 1919 da 44 Stati. Questo trattato fu definito dal maresciallo francese Foch “non una pace bensì un armistizio per vent’anni”.Esso ,infatti ,soffriva di una debolezza intrinseca dovuta alla diversità di obiettivi delle nazioni vincitrici. Gli Stati Uniti d’America si erano ispirati al principio dell’autodeterminazione nazionale.

La fine della prima guerra mondiale

La Francia mirava alla riparazione di tutti i danni subiti durante la guerra.La stessa Francia e la Gran Bretagna intendevano proteggere l’integrità dei propri originari imperi.l’Italia chiedeva quanto le era stato promesso nel caso di entrata in guerra al fianco della Francia e della Gran Bretagna.In una pubblicazione online dedicata all’ambasciatore Mario Luciolli troviamo scritto che egli bene “ descrisse i rapporti fra il presidente del consiglio italiano Vittorio Emanuele Orlando il presidente degli Stati Uniti nei primi mesi del 1919. Woodrow Wilson aveva riconosciuto all’Italia il Trentino e il Tirolo meridionale fino al Brennero, ma aveva scoperto tardi, con una certa sorpresa, che nella provincia di Bolzano vivevano 245.000 persone di lingua tedesca.

Volete dire che sono protedeschi , proaustriaci ? aveva chiesto a un diplomatico inglese alla fine di una riunione anglo americana. Fu questa probabilmente la principale ragione per cui decise di richiamarsi fermamente, nel caso dell’Istria e di Fiume, al nono dei suoi 14 punti :  le modifiche della frontiera italiana dovranno essere decise sulla base di criteri nazionali chiaramente riconoscibili. Accettò più tardi che a Fiume venisse conferito uno statuto speciale sotto l’ egida delle società delle nazioni, ma avanzò la sua proposta nel peggiore dei modi possibili. Anzichè presentarla nel corso di una riunione si indirizzò direttamente all’opinione pubblica italiana con un messaggio… Vittorio Emanuele Orlando decise allora di abbandonare la conferenzai e di tornare in Italia. Commise un errore, probabilmente. Non capì che un uomo di stato può permettersi di uscire dalla sala delle trattative soltanto se è certo che la sua assenza costringerà gli altri a interrompere i lavori.”

Papa Pio XII nelle memorie del cardinal Tardini

Il cardinale Eugenio Pacelli fu  eletto al soglio pontificio il 2 marzo 1939.Papa Pacelli scelse il nome di Pio XII volendo sottolineare la continuità di quello che sarebbe stato il suo papato rispetto all’opera del predecessore Pio XI. Nel libro “ Il diario di un cardinale “ il suo autore ,monsignor Tardini , evidenzia la grande vicinanza che Pio XI aveva nei confronti del suo Segretario  di Stato cardinale Pacelli.

Papa Pio XII

In questo libro troviamo scritto: “… Io ne approfittavo per parlare dell’eminentissimo cardinale Pacelli e per mettere in evidenza il suo costante, diligentissimo e intensissimo lavoro per la Santa Sede . Il  Papa era molto contento; spesso, anzi, aggiungeva altre lodi alle mie. Per  esempio, se io sottolineavo l’abilità dell’eminentissimo nel suo lavoro, il Papa aggiungeva: non solo lavora molto bene, ma lavora anche molto presto! Messo così sulla via… delle  confidenze, il Santo Padre mi spiegava che lo scopo dei molti viaggi che egli faceva fare al suo Segretario  di Stato era quello di prepararlo bene… al papato ; lo chiamava cardinale mondiale, transoceanico,  anzi voleva che al suo ritorno noi della segreteria di Stato gli preparassimo una festa con una iscrizione che doveva inneggiare al cardinale…  transoceanico.

Io osai obiettare che, molto probabilmente, l’eminentissimo non avrebbe gradito una simile… iscrizione e noi ci saremo esposti più a un rimprovero che a un ringraziamento. Fu così che il Santo Padre preparò gli stesso una iscrizione di questo genere, accompagnandola ad uno speciale dono.” Al di là della vicinanza tra Pio XII ed  il suo predecessore , molti storici evidenziano che l’elezione di Pacelli rappresentò un ottimo risultato politico  in quanto egli era sicuramente il più esperto nell’ambito della diplomazia vaticana. In particolare la sua esperienza di  nunzio apostolico in Germania rappresentò per il nuovo Papa un bagaglio particolarmente importante per gli eventi drammatici che di lì a pochi mesi si sarebbero scatenati in Europa e nel mondo.

Uno dei tanti misteri della storia d’Italia

Com’è noto in questo mese di settembre ricorre l’anniversario della tragica morte del generale Carlo Alberto dalla Chiesa ,ucciso con la moglie e l’agente di scorta il 3 settembre 1982. Il generale fu nominato prefetto di Palermo il 6 aprile 1982.Con tale nomina il governo riteneva di poter ottenere risultati vincenti contro la mafia così come, grazie al generale stesso, li avevo avuti nei confronti del terrorismo.Il barbaro omicidio è ancora avvolto da molti misteri.

Carlo Alberto dalla Chiesa

Uno tra questi lo si ritrova nelle parole dell’onorevole Fragalà , membro  della commissione parlamentare di inchiesta sul terrorismo presieduta dal senatore Pellegrino. Durante l’audizione del generale Bozzo  ,l’on. Fragalà fa riferimento alla circostanza che ,dopo la morte del generale ,non si ritrovarono ,per diversi giorni, le chiavi della sua cassaforte,  ed una volta ritrovate la cassaforte risultò  vuota. La circostanza è particolarmente rilevante in quanto ,nel suo intervento in commissione, il detto deputato riporta la testimonianza della collaboratrice domestica della famiglia dalla Chiesa secondo la quale il generale avrebbe detto alla moglie: “se mi fanno qualcosa c’è il nero su bianco e sai dove prenderlo”.

Non solo , ma si fa ,altresì , riferimento alla drammatica circostanza che il killer si preoccupò ,non solo di uccidere il generale e l’agente di  scorta, ma anche la signora Setti Carraro , soffermandosi sul luogo del delitto per esplodere il colpo di grazia contro quest’ultima che era stata già ferita. Questa particolare crudeltà viene spiegata con l’interesse all’eliminazione di un testimone che avrebbe potuto riferire sull’esistenza di documenti importanti ,probabilmente custoditi nella cassaforte di casa, e non più ritrovati dopo il massacro

L’Italia unita ed il brigantaggio

Il fenomeno del brigantaggio ricorre ciclicamente nella storia. L’uso più noto che viene fatto di tale definizione riguarda il  periodo immediatamente successivo all’unificazione italiana. Secondo un orientamento ,attraverso il fenomeno del brigantaggio ,l’ultimo re del Regno  delle due Sicilie ,Francesco II di Borbone tentò di destabilizzare il nuovo regno d’Italia nella speranza di recuperare il suo trono.

L'Italia unita ed il brigantaggio

Secondo un altro orientamento il brigantaggio aveva invece delle radici sociali ed economiche scaturite dalla nuova condizione in cui le popolazioni meridionali si vennero a trovare con l’unificazione d’Italia.Tra queste solitamente si citano il peggioramento delle condizioni economiche, l’incremento delle tasse, le discriminazioni sociali e l’ampliamento della forbice tra ricchi e poveri. Fra i detrattori della dinastia borbonica troviamo, in particolare , il deputato Giuseppe Massari pugliese di origine e neo cittadino  piemontese ,che preparò la relazione conclusiva della legge Pica contro il brigantaggio. Per  costui la causa principale ,se non unica , del brigantaggio sarebbe stata la “mala signoria borbonica”.Tuttavia secondo un’altra visione dei fatti il nuovo parlamento italiano utilizzò questa occasione per organizzare una feroce repressione di massa.Sempre seguendo questa linea di pensiero la vera intenzione del legislatore italiano era quella di stroncare ogni possibilità di ritorno della dinastia borbonica nel meridione d’Italia.

Più in particolare, attraverso la criminalizzazione della  politica borbonica,  si voleva provocare l’allontanamento dei sovrani delle due Sicilie dalla città di Roma dove erano ospiti del Papa,  facendo in modo che il loro esilio diventasse definitivo  e che fossero completamente dimenticati. Nel  libro di Gigi Di Fiore  “l’ultimo re di Napoli” troviamo scritto: “Francesco II  sapeva di avere poche possibilità di replicare con efficacia a Massari. Fu costretto ad assistere da lontano, senza poter far nulla, al risultato delle conclusioni della commissione: La legge Pica sul brigantaggio.”

Il Regno delle due Sicilie è l’isola di Procida

Uno dei periodi di maggiore splendore di questa meravigliosa isola si realizza durante la prima fase della dominazione borbonica.Carlo III fa di Procida una delle sue preferite riserve di caccia. In questo quadro la popolazione vive un notevole miglioramento delle proprie condizioni e la marineria  procidana si sviluppa notevolmente. Procida è stata nominata capitale della cultura per il 2022 ma la sua bellezza e la sua amenità è una costante nel tempo.

Il Regno  delle due Sicilie

Una delle più belle descrizioni la ritroviamo nel libro “ Cenni storici intorno alla città ed isola di Procida “ del sacerdote Michele Parascandola  in una delle sue più belle edizioni del 1892. Tra l’altro troviamo scritto: “fra le isole che incoronano il bel Golfo di Napoli non è l’ultima Procida. Essa presenta tale un aspetto ameno  e sorridente a chi vi arriva, percorrendo tutto il Golfo di Napoli che equivale ad un incanto.… L’aspetto della marina che è divisa in due lunghe braccia, l’ una a  levante e l’altra a ponente offre nei mesi estivi ai cittadini amene passeggiate, e l’ammasso delle case di antica costruzione ed in parte rifatte ed abbellite presentano una vista superiore al concetto che di essa si ha potuto formare, chi vi arriva per la prima volta… Il suo circuito di sette miglia con giocondissimi recessi e promontori per quali ora si avanza e distende nel mare, ora dal mare si accorcia e ritira, accoppiata al la salubrità del suo aere , la faceva dire dal Celestino Guicciardini nel suo Mercurio Campano un bel formato giardino.…

La principale industria è il mare ed i molteplici legni mercantili lo dimostrano … Procida contava fino a 120 navi nel 1878 ma oggi un tale numero è decimato. La loro portata aveva raggiunto le 5600 tonnellate… La tessera distintiva dei procidani è la generosità, e lo dimostrano non solo le chiese che si reggono con lustro e splendore per l’obolo della pietà dei suoi cittadini e senza rendita alcuna, ma ancora le molteplici opere di beneficenza che vi esistono nell’isola.

Francesco II di Borbone e la Costituzione Napoletana

Lo scenario di criticità in cui matura la decisione di Francesco II di concedere la costituzione

Nel consiglio straordinario del giugno 1860 tenuto a Portici si decise la promulgazione della costituzione nel regno delle due Sicilie. La situazione era ormai critica. Il marchese Antonini scriveva: ”Se il governo di Sua Maestà ha forze bastanti a reprimere la rivoluzione, la reprima, altrimenti non perda tempo ad accettare le condizioni sotto le quali l’imperatore [dei francesi] assumerebbe la mediazione.

Le pressioni della Santa Sede sul re e il problema dell’accordo col Piemonte e il Regno di Sardegna

Le condizioni sono le seguenti: costituzione del 1848, accordo col Piemonte, e istituzioni speciali per la Sicilia.” Secondo alcuni storici più che il problema della costituzione nella mente del re si poneva il problema dell’accordo col Piemonte. Infatti la Santa Sede era contraria e, tramite il cardinale Antonelli, esercitava forti pressioni su re Francesco affinché ciò non avvenisse. Comunque sia la costituzione fu concessa, così come si accettò l’accordo con il Piemonte.

Le intenzioni del re alla base della promulgazione della costituzione e il commento di Napoleone

Il provvedimento reale recitava: “desiderando di dare ai nostri amatissimi sudditi un attestato della nostra sovrana benevolenza, ci siamo determinati di concedere gli ordini costituzionali rappresentativi nel regno, in armonia coi principii italiani e nazionali in modo da garantire la sicurezza e prosperità in avvenire ed a stringere sempre più i legami che ci uniscono ai popoli che la provvidenza ci ha chiamato a governare.” Si diceva altresì: “sarà stabilito con sua maestà il re di Sardegna un accordo per gli interessi comuni delle due corone d’Italia.” Ma tutto ciò non servì perché come disse Napoleone: “Le riforme avrebbero potuto prevenire il danno, ora è troppo tardi; le rivoluzioni non si arrestano con le parole.“ Il giorno dopo la promulgazione re Francesco tornò a Napoli e si mostrò al popolo percorrendo in carrozza le vie della città. Si racconta che la sera del 26 giugno tutti i pubblici edifici erano illuminati, ma in agguato erano anche i tumulti.

La Rivoluzione Napoletana Dopo la Costituzione del 1860

Un’estate di tumulti, aggressioni, disordini, saccheggi e sollevamenti di piazza organizzati

Dopo la promulgazione della costituzione da parte di re Francesco II scoppiarono pericolosi tumulti tra la fine del giugno e l’inizio del luglio 1860. Tra le tante ci fu l’aggressione contro il barone Brenier, rappresentante di Napoleone III a Napoli. I disordini e i saccheggi si estesero per tutti i quartieri bassi. Furono attaccati anche i commissariati ed i posti di polizia. Qualcuno sosteneva che si trattasse di un movimento organizzato dagli uomini del partito reazionario, volendo in questo modo provocare la revoca della costituzione e il ripristino dello stato precedente. Il prefetto di polizia Liborio Romano ebbe un ruolo decisivo nel reprimere i moti di piazza.

L’istituzione della Guardia Cittadina, il ruolo dei camorristi e la rivoluzione delle classi medio alte

Prima di tutto si formò la Guardia Cittadina e, poi, si arruolarono molti camorristi usciti di galera affinché contribuissero, con il controllo del territorio, ad arginare la rivoluzione. L’operazione ebbe, almeno apparentemente, successo. Il 2 luglio cessò lo stato di assedio. Ma, come sottolineano gli storici, la rivoluzione passò in altro campo. Si trattava delle classi medio alte della società civile napoletana tra le quali gli impiegati, i funzionari di polizia, i professori universitari ed addirittura i prefetti. Seguirono nuovi scontri di cui furono protagonisti anche reparti dell’esercito, della appena costituita guardia cittadina e di nuovo del popolo.

L’istituzione della Guardia Nazionale e l’abbandono dei posti di comando da parte degli ex privilegiati

Finché il re decise di organizzare la Guardia Nazionale nominando come comandanti di battaglione noti gentiluomini napoletani. Il sollievo, tuttavia, anche questa volta fu momentaneo perché ormai tutta l’impalcatura del potere stava collassando. Ciò che maggiormente colpiva era il continuo abbandono dei posti di comando da parte di coloro che non avevano coraggio di condividere le responsabilità con quel potere che fino a quel momento li aveva largamente beneficati.

Francesco II di Borbone e l’Invasione dei Mille in Sicilia

L’allarme provocato nel re e nella sua corte dallo sbarco di Garibaldi e dei Mille in Sicilia

Uno dei momenti più drammatici per Francesco II e per il suo regno fu rappresentato dalle notizie allarmanti che provenivano dalla Sicilia a seguito dello sbarco di Garibaldi e dei Mille nell’isola. Toccanti sono le parole di un libro edito nel 1902 la cui autrice, Teresa Filangieri, era figlia del generale Carlo Filangieri che fu particolarmente vicino al re durante le ultime vicende del 1860. A tal proposito si legge: “eccoci giunti al secondo e più doloroso periodo del breve regno di Francesco II; esso prende le mosse dal primo tocco della campana del monastero della Gancia a Palermo.

Il racconto dell’angoscia di quei momenti nelle parole della figlia del generale Filangieri

Questo è il segnale della novella riscossa che il governo non seppe né scongiurare né reprimere al suo inizio, e ben meno poi combattere allorquando la spedizione di Garibaldi venne ad infondere a quella riscossa l’erotismo fatidico dell’epopea con la forza di un gran concetto, o meglio, di una speranza pronta ad essere compiuta per l’indipendenza della patria.” Seguono poi i racconti relativi all’angoscia con la quale si cercava di capire la situazione e di trovare un rimedio. ”Dietro le tristi nuove di Palermo si moltiplicavano alla reggia i congressi ed i consigli di Stato. Il re dopo uno di questi consigli volle intrattenere il mio padre sulle cose di Sicilia.” Si moltiplicano in questo momento i consigli e le strategie di coloro che più o meno lealmente, stanno intorno al re.

Le misure suggerite dai fedelissimi del re per contrastare l’avanzata dei rivoltosi

Il generale Filangieri consiglia il concentramento delle truppe napoletane ai Quattroventi in un luogo cioè vicino a dove avrebbe potuto verificarsi l’eventuale sbarco. Altri come Nunziante e Latour consigliarono di far muovere le truppe verso la Guadagna formando lì un campo trincerato per tenere il forte di Castellammare e la batteria del Molo. Al tempo stesso si discuteva sull’opportunità o meno di concedere la costituzione che avrebbe, secondo i timori del re, richiamato in patria tutti gli esuli contrari alla monarchia. Queste erano le fosche tinte che caratterizzavano quei giorni.

Il Congresso di Vienna: Invitati e Partecipanti

La gestione degli inviti e degli invitati al Congresso di Vienna

Uno dei primi problemi procedurali del congresso di Vienna fu quello di individuare chi dovesse inviare gli inviti a partecipare. Il problema fu risolto abbastanza rapidamente in quanto la precedente “pace di Parigi“ stabiliva che il congresso sarebbe stato celebrato a Vienna. Di conseguenza apparve logico che fosse l’imperatore d’Austria a diramare gli inviti dalla sua capitale. Più complesso fu il problema di chi dovesse essere invitato. Sicuramente fra gli invitati dovevano esserci i quattro paesi vincitori e cioè la Russia, l’Austria, la Prussia, e la Gran Bretagna.

Le ragioni e motivazioni dell’ammissione della Francia al Congresso di Vienna

Ma apparve subito chiaro che anche la Francia, ancorché sconfitta, avrebbe dovuto partecipare se non altro per ottemperare alle obbligazioni conseguenti al suo collasso militare. Alla fine, pressoché tutti i paesi europei furono coinvolti nei lavori. Ovviamente, ciò non vuol dire che tutti gli invitati avessero lo stesso peso politico nella gestione delle questioni da affrontare. Al contrario, le quattro potenze vincitrici cercarono di mantenere nelle loro mani i tavoli su cui si sarebbero decise le strategie più rilevanti. La qual cosa, tuttavia, non impedì anche ai più piccoli paesi rappresentati di creare interferenze ed ostacoli che avrebbero rallentato il corso di alcune decisioni.

Il ruolo e il peso dei diversi partecipanti al Congresso di Vienna

Ecco perché gli storici di questo congresso hanno sempre posto particolare attenzione alle procedure seguite, ai ruoli delle singole delegazioni e al peso specifico dei partecipanti. Al contrario, proprio i rappresentanti delle quattro grandi potenze diedero poca importanza alle procedure che avrebbero dovuto garantire la loro posizione di predominio. Questo fu uno dei punti su cui farà leva l’abilissimo e scaltro rappresentante francese Talleyrand per inserirsi a pieno titolo nelle decisioni più importanti.

Questione pregiudiziale di costituzionalità e legittimità del Congresso di Vienna

Va, infine, ricordato che il congresso di Vienna soffrì da subito di quella che oggi chiameremmo una pregiudiziale di costituzionalità, nel senso che la regola, tenuta segreta, secondo la quale ai quattro grandi sarebbero state riservate le decisioni più rilevanti non fu mai accettata dalle altre nazioni vincitrici o meno, belligeranti o meno, chiamate a partecipare, il che rappresenterà un grave pregiudizio per l’esito dello stesso congresso. Non va dimenticato, infatti, che oltre a piccoli e piccolissimi stati, parteciparono ai lavori anche importanti e grandi paesi non ricompresi fra i detti quattro. Fra questi c‘erano ad esempio la Spagna, la Svezia ed il Portogallo.

Il Congresso di Vienna, Talleyrand e la Francia

Talleyrand: il rappresentante francese al Congresso di Vienna

Come ricordano gli storici, la Francia non aveva alcunché da perdere nel congresso di Vienna. Al contrario, essa poteva solo trovarvi dei vantaggi. Il rappresentante della Francia presso il congresso fu il celeberrimo Talleyrand. Egli proveniva da una famiglia aristocratica ma la sua caratteristica principale fu quella di saper mutare i suoi orientamenti e le sue azioni in relazione alla situazione politica in corso. La sua attività politica, pertanto, si svolse, pressoché ininterrottamente, sotto il regno di Luigi XVI, durante la rivoluzione francese, sotto il dominio napoleonico ed, infine, con la restaurazione del regno borbonico di Luigi XVIII.

Talleyrand: il protagonista principale del Congresso di Vienna

Insieme a Metternich, Talleyrand è considerato uno dei grandi protagonisti del congresso di Vienna. Il suo maggior merito fu quello di evitare alla Francia l’emarginazione solitamente riservata agli sconfitti dalle potenze vincitrici. Talleyrand riuscì a far comprendere che la stabilità europea non avrebbe potuto fare a meno della Francia e della sua interazione con gli altri paesi. Autorevoli storici ritengono che l’opera del Talleyrand, durante il congresso, fu animata, da una parte, da opportunismo, corruzione e tatticismo ma, dall’altra, da un autentico desiderio di pace e di stabilità per la Francia e per l’Europa. Il suo messaggio, in sintesi, fu che se, da un lato, la Francia era stata responsabile di quasi 20 anni di guerre e distruzioni, dall’altro, essa, come tutti gli altri paesi europei, era stanca di tali conflitti e voleva esclusivamente la pace. Talleyrand rese ulteriormente credibile questo messaggio sottolineando come, semmai, la minaccia per l’Europa provenisse, non più dalla Francia, ma da un altro grande impero ad oriente, quello russo.

Talleyrand: la politica dell’equilibrio al Congresso di Vienna

Non solo la Russia, ma anche la Prussia, nella sua rapida e temibile evoluzione militare, rappresentava un altro pericolo quanto meno potenziale. La conseguenza ed il rimedio a tali minacce non poteva che essere rappresentato dalla vicinanza tra la Francia, la Gran Bretagna e l’Austria. Solo questa combinazione poteva sostenere la cosiddetta politica dell’equilibrio. Ed anche in questo Talleyrand esprimeva la sua grande saggezza politica quando affermava che l’equilibrio perfetto non esiste. Al contrario, esso si basa sulla coesistenza di due poli contrapposti: il potere di resistenza ed il potere di aggressione. La cosa a cui si può aspirare è, quindi, un equilibrio artificiale che, mutatis mutandis, ritroveremo molto tempo dopo nella seconda metà del XX secolo: l’equilibrio nucleare (il cosiddetto “equilibrio del terrore”) e la guerra fredda.

Il Congresso di Vienna e la Questione Polacca

La questione polacca al centro dei lavori del Congresso di Vienna

Uno dei problemi più rilevanti del congresso di Vienna fu rappresentato dalla Polonia. Secondo alcuni storici, la sorte della Polonia rappresenta il punto più critico dei lavori del congresso. Va ricordato che nella seconda metà del XVIII secolo la Polonia, come stato autonomo, non esisteva più. Eppure questo stato aveva avuto, precedentemente, una notevole consistenza territoriale e di popolazione. Tuttavia le difficoltà, rappresentate dalle profonde divisioni interne, determinarono il collasso del regno di Polonia.

La Polonia e i suoi confini prima del Congresso di Vienna

È pur vero che gli stati confinanti furono sempre animati da una aggressiva sete di conquista nei confronti della Polonia. Si tratta della Russia, dell’Austria e della Prussia. Si arriva così al primo smembramento della Polonia avvenuto nel 1772. Il secondo smembramento avvenne nel 1793. L’ultimo tra il 1795 e il 1796. A questo punto, i territori e la popolazione polacca risultavano completamente assorbiti dalle potenze confinanti sopra ricordate. Nel 1807, sotto Napoleone, la Polonia rivide parzialmente la sua indipendenza politica con la costituzione del cosiddetto ducato di Varsavia. In realtà anch’esso era di fatto soggetto ad un’altra sovranità, quella del regno di Sassonia.

La Polonia e i suoi confini dopo il Congresso di Vienna

Comunque sia, nel 1809 la Polonia si estese ai vecchi territori della Galizia e di Cracovia. Con il congresso di Vienna, finalmente, la Polonia trova un’ulteriore configurazione tra le nazioni anche se, in termini territoriali e di popolazione, essa risulterà particolarmente esigua. Ma l’esistenza della Polonia, ancorché così ridotta, avrà un valore simbolico straordinario nell’equilibrio del congresso di Vienna. Il suo riconoscimento, infatti, rappresenta un argine simbolico alla volontà espansiva dell’imperatore di Russia, Alessandro. Più precisamente, va detto che lo zar di Russia non si opponeva alla ricostituzione e riconoscimento dello stato polacco. Al contrario, egli avrebbe voluto una Polonia più grande ma completamente sottomessa alla sua influenza politica e militare. È difficile, in realtà, analizzare la volontà dello zar con riferimento alla Polonia ed individuare le sue reali intenzioni. Su questo punto il suo atteggiamento durante il congresso di Vienna, infatti, ondeggerà ripetutamente tra impulsi di generosità e liberalità e strategie imperialistiche ed espansive.

Lo Schieramento Finale del Governo Italiano

L’abbandono dell’alleanza con la Germania e l’Impero austro-ungarico

Dopo alterne vicende il governo italiano decide di schierarsi con le potenze dell’Intesa e di abbandonare l’alleanza con gli imperi centrali. Un diplomatico italiano dell’epoca, Luigi Aldrovandi Marescotti, nel suo diario, alla pagina del 25 aprile 1915, così scrive: “qualche ora prima era giunto un telegramma da Vienna ove, riassumendo le laboriose trattative che si trascinano faticosamente colà da oltre quattro mesi… si confermava la incomprensione del governo austroungarico e la irrealizzabilità di un nostro accordo con l’Austria-Ungheria…L’Austria-Ungheria ha continuato a mantenersi sino ad ora in vane discussioni e non sembra rendersi conto del vero stato di cose da noi per cui un accordo con l’Austria-Ungheria sulla base delle proposte formulate sembra quasi irrealizzabile nello stato attuale delle cose”.

La conclusione dell’accordo con le tre potenze dell’Intesa

Dallo stesso diario, il giorno successivo 26 aprile, si rileva ormai concluso l’accordo con i paesi dell’Intesa: “Salandra, in una sua lettera personale, ha scritto a Sonnino: suppongo che in seguito all’ultimo telegramma da Londra, avrai telegrafato ad Imperiali di firmare. Che Dio ci assista. L’accordo è stato firmato oggi alle ore 15:00. Grey e i colleghi di Francia e di Russia hanno abbondato in espansioni. All’atto della firma Grey ha comunicato ad Imperiali la notizia, proprio allora giuntagli, del felice sbarco degli alleati ai Dardanelli.”

L’entrata in guerra dell’Italia a fianco di Francia, Russia e Gran Bretagna

Inizia, quindi, la grande avventura della prima guerra mondiale anche per l’Italia. Come tutti sanno sarà un’esperienza lunga e drammatica che si concluderà solo tre anni dopo con centinaia di migliaia di morti e devastazioni laceranti sul campo. Ma, soprattutto, rimarranno tante domande senza risposta. Tutto questo si tradurrà in un fosco futuro per il mondo e rappresenterà il presupposto di un ulteriore e più crudele conflitto mondiale.

L’Ambasciatore Russo a Washington Anatoly Dobrynin

Anatoly Dobrynin: un testimone d’eccezione della Guerra Fredda

Anatoly Dobrynin è stato, per molti decenni, ambasciatore dell’Unione Sovietica a Washington ed è stato uno dei più attenti e privilegiati testimoni di quel complesso di eventi chiamati “guerra fredda”. Come egli stesso afferma nel suo libro “In confidence” arriva alla carriera diplomatica quasi per caso e, comunque, indipendentemente dai suoi studi universitari che lo avevano condotto in un settore molto distante quale quello dell’ingegneria aeronautica.

Anatoly Dobrynin: dall’industria aeronautica alla scuola diplomatica

Dobrynin, infatti, all’età di 25 anni lavorava a tempo pieno in una delle più prestigiose industrie aeronautiche sovietiche. Un giorno di estate del 1944 fu contattato dei più alti livelli del partito comunista sovietico. Un rappresentante della commissione centrale del partito comunista gli disse che era arrivato per lui il momento di frequentare la scuola diplomatica. A quel punto Dobrynin rispose che non capiva perché un ingegnere aeronautico dovesse cambiare improvvisamente la propria attività entrando in un campo fino a quel momento completamente sconosciuto.

Anatoly Dobrynin: dalla carriera di ingegnere a quella di diplomatico

La risposta fu sconcertante. Gli fu detto che l’Unione Sovietica doveva poter disporre del popolo in qualsiasi posto lo si ritenesse utile per il paese. In ogni caso gli si dava un giorno per pensarci e dare una risposta. Consultatosi con la sua famiglia lo spaesato ingegnere decise di rispondere negativamente, volendo continuare il suo lavoro da tecnico aeronautico e così comunicò la sua volontà a colui che lo aveva fatto chiamare il giorno precedente. Di fronte a questo atteggiamento gli fu detto che, in realtà, non si trattava di una scelta ma di un obbligo e che, pertanto, avrebbe dovuto intraprendere subito la nuova strada.

Anatoly Dobrynin: da ingegnere aeronautico ad ambasciatore di successo

Molti anni dopo, diventato un ambasciatore di grande successo, Dobrynin capì che anche a molti altri giovani laureati era stato fatto un simile discorso e che l’intenzione dell’establishment sovietico era stata quella di mutare i ranghi della diplomazia in modo tale da superare tutte le resistenze che potevano venire alla politica estera sovietica dalla vecchia classe diplomatica di origine zarista.
Dobrynin constatò col tempo che l’operazione aveva avuto in effetti una sua ragione d’essere e aggiunse che la sua esperienza di ingegnere aeronautico gli consentì di valutare molto più professionalmente i contenuti militari di tanti trattati diplomatici che, in qualità di rappresentante sovietico, firmerà nei lunghi anni della sua attività.

Il Ruolo Strategico dell’Italia nel Patto Atlantico

L’ammissione al Patto Atlantico e la proposta di creazione di un direttorio con l’esclusione dell’Italia

La partecipazione dell’Italia al Patto Atlantico ha rappresentato la concretizzazione di uno dei più importanti tentativi di riaccreditamento del nostro paese nell’ambito del cosiddetto blocco occidentale. Ciò, tuttavia, non significa che il cammino sia stato facile e privo di problemi.
Al contrario, l’Italia portava sulle sue spalle l’eredità della sconfitta nella seconda guerra mondiale e questo, spesso, determinava tentativi di emarginazione, se non di umiliazione, da parte delle altre potenze principali.
Proprio nel contesto del Patto Atlantico fu, infatti, proposta la creazione di un direttorio cui avrebbero partecipato, esclusivamente, tre stati e, precisamente, gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Francia. La conseguenza sarebbe stata l’esclusione dell’Italia da un organismo dove sarebbero state approntate le principali strategie per la ricrescita del mondo occidentale.

Le rimostranze decise del governo De Gasperi e la posizione intransigente dell’amministrazione Turman

Le rimostranze del governo italiano di fronte a questa possibilità furono estremamente ferme. Il ministro degli esteri Sforza contattò i principali esponenti dei governi di queste tre potenze sottolineando l’importanza di quella che sarebbe diventata la “questione italiana”.
Anche il presidente del consiglio De Gasperi evidenziò all’ambasciatore statunitense a Roma i contraccolpi di politica interna che l’esclusione dell’Italia dal direttorio a tre avrebbe provocato.
Ma l’amministrazione Truman, in particolar modo, riteneva di non poter seguire le istanze italiane e di rendere chiaro al governo del presidente De Gasperi che, dopo gli aiuti del piano Marshall, l’Italia avrebbe dovuto procedere ad un ampio programma di riarmo che le avrebbe consentito di avere piena voce nella citata alleanza che stava sempre più prendendo le sembianze definitive della Nato.

I condizionamenti della politica estera e le difficoltà dell’Italia ad attuare il programma di riarmo

La posizione internazionale dell’Italia era ulteriormente complicata dalla dislocazione geopolitica del paese che si trovava sulla linea di demarcazione tra i due blocchi (quello sovietico e quello occidentale) e dall’evoluzione di una politica estera fortemente condizionata dagli equilibri interni di uno schieramento estremamente frazionato ed in qualche misura esposto anche alle pressioni provenienti dal Cremlino. Infine le condizioni economiche del nostro paese non consentivano la realizzazione del programma di riarmo richiesto. L’Italia era ancora profondamente impegnata nell’opera di ricostruzione dopo le devastazioni terribili della Seconda Guerra Mondiale.

Il Tunnel Sotto Berlino e il Doppio Gioco di George Blake

Lo scenario in cui matura la decisione di creare il tunnel sotto la città da parte dei servizi segreti alleati

Nel contesto della contrapposizione tra il settore sovietico e quello alleato di Berlino, i servizi segreti americani ed inglesi decisero di realizzare un tunnel per penetrare nella zona controllata dai sovietici e intercettare le comunicazioni della rete fissa del quartier generale dell’Armata Rossa posizionato in quella città.

Il fallimento del progetto a causa del tradimento dell’agente del servizio segreto britannico George Blake

L’operazione, che sembrava aver ottenuto un grande successo, in realtà era destinata al fallimento fin dall’origine perché George Blake, un diplomatico britannico coinvolto in quest’impresa, aveva defezionato in favore dei servizi segreti sovietici ed aveva comunicato, sin dal momento dell’ideazione e della progettazione del tunnel, tutte le relative informazioni al suo corrispondente russo. Oltre ad essere un diplomatico, Blake era anche un agente del servizio segreto britannico. Nel 1944 era entrato a far parte del famoso M I 6 e la sua carriera continuò in tale ambito fino ad essere inviato presso la legazione britannica a Seul nella Corea del Sud invasa, nel 1950, dai soldati nordcoreani. Blake, come molti altri, fu fatto prigioniero e, durante questo periodo, si convertì alle dottrine comuniste decidendo di collaborare con l’Unione Sovietica.

La carriera di doppiogiochista di Blake: scoperta, condanna, fuga dal carcere, rifugio e morte in Russia

Ritornato in patria nessuno sospettò quanto era accaduto ed egli, quindi, continuò ad operare come agente doppio, apparentemente per il servizio segreto britannico ma, effettivamente, nell’interesse esclusivo del KGB. La sua carriera di doppiogiochista durò fino al 1961 quando la sua attività fu scoperta. Ci si rese allora conto di quali e quante informazioni Blake avesse trasmesso ai sovietici con conseguenze devastanti per la sicurezza del mondo occidentale. Ma le avventure di Blake non finirono perché nel 1966 egli scappò dal carcere dove era stato rinchiuso per scontare una pena di 42 anni. Blake riuscì a raggiungere Mosca dove si stabilì fino alla sua morte avvenuta nel 2020. Fu sempre ritenuto dall’establishment russo un personaggio di grande rilevanza il cui contributo alla parità strategica dei blocchi era inestimabile.

Il ruolo degli agenti segreti nel mantenimento della pace e dell’equilibrio strategico tra Est e Ovest

Indipendentemente dalle motivazioni che spinsero questa persona a fare il cosiddetto doppio gioco, non va dimenticato che alcuni agenti segreti dell’epoca credettero davvero di poter contribuire al mantenimento della pace tra est e ovest trasferendo informazioni che, nella loro ottica, avrebbero potuto assicurare un equilibrio strategico, anche se ciò si traduceva in un atto di aperto tradimento verso il proprio paese.

L’Italia e la Sua Iniziale Posizione di Neutralità

L’orientamento neutrale dell’Italia sospesa tra Triplice Alleanza e Triplice Intesa

Com’è noto l’Italia, allo scoppio della prima guerra mondiale, assume una posizione di neutralità. Essa è ancora legata all’alleanza con la Germania e l’Austria-Ungheria. Al tempo stesso il paese guarda anche alle potenze dell’Intesa cercando di ottenere il massimo risultato, in termini di compensi, a seconda del suo schieramento politico-militare.

Le condizioni poste dall’Italia per entrare in guerra a fianco delle potenze dell’Intesa

Uno dei momenti decisivi circa il definitivo orientamento sullo schieramento finale lo si trova nella pagina del 16 febbraio 1915 del diario di un diplomatico italiano dell’epoca, Luigi Aldrovandi Mariscotti: “Sonnino, essendo ormai convinto che i negoziati con l’Austria-Ungheria non possono condurre a risultati soddisfacenti, ed assicurato lo Stato maggiore italiano che verso la metà di aprile potremmo considerarci come sufficientemente pronti militarmente, invia per corriere all’ambasciatore d’Italia a Londra il testo delle condizioni generali, dall’accettazione delle quali, da parte delle potenze dell’Intesa, il regio governo sarebbe disposto a far dipendere l’impegno preciso, da parte sua, ad entrare in campo al loro fianco.

Il via libera del Ministro degli Esteri del governo italiano agli accordi con i nuovi alleati

Nel documento è esplicitamente indicato che vi abbiamo determinato il minimo delle concessioni a nostro favore. Imperiali, l’ambasciatore a Londra, non dovrà però dar corso alle istruzioni ivi contenute sinché non riceverà ulteriore ordine di farlo. Sonnino chiede ad Imperiali di esaminare il documento ed esporgli poi le sue impressioni”. Il giorno 3 marzo 1915 nello stesso diario si legge: “risultando in modo ancor più evidente che i negoziati con Vienna non condurranno a nulla, Sonnino telegrafa istruzioni ad Imperiali di dar corso al dispaccio del 16 febbraio.”

Brevi Cenni Storici sulla Prima Guerra Mondiale

I negoziati con l’Intesa per l’entrata in guerra dell’Italia

Nei primi mesi del 1915 l’orientamento del governo italiano circa l’alleanza e l’entrata in guerra del paese appare più chiaro. Sono in corso i negoziati con l’Intesa. Si è ormai giunti alla fase finale, ma vi sono ancora incertezze e problemi, così come si rileva nella pagina del 26 marzo 1915 del diario di un diplomatico italiano dell’epoca, Luigi Aldrovandi Marescotti: “Imperiali, l’ambasciatore d’Italia a Londra, telegrafa che Grey, il suo interlocutore per le potenze dell’Intesa, lo ha convocato ieri. Grey gli ha detto di aver impostato con gli alleati la questione nei semplici termini seguenti: o accettare le condizioni italiane, o rinunciare definitivamente alla cooperazione dell’Italia.”

La soluzione di compromesso per accontentare la Russia

Tuttavia, nel caso in cui la Russia opponesse un rifiuto definitivo a causa della Dalmazia, Grey ha escogitato una soluzione che, pur dando ragione al nostro interesse primario di assicurare la nostra posizione in Adriatico, e garantendoci contro ogni pericolo futuro da parte di chicchessia, tenga conto dei desideri slavi di non essere rinchiusi ed esclusi da ogni possibilità di sviluppo commerciale ed economico. Si tratterebbe, in conclusione, di lasciar Spalato alla Serbia attribuendo all’Italia Zara e Sebenico, con le isole indispensabili alla nostra difesa strategica, stabilendo la neutralità di tutta la costa, da Spalato alla Vojussa.

Le condizioni dell’alleanza tra l’Italia e le potenze dell’Intesa

Imperiali osserva che, con la soluzione su accennata, Grey ha mirato evidentemente a lasciare una porta aperta per impedire un naufragio totale. Avverte: “Siamo sul punto saliente del negoziato. Grey ha anche soggiunto che sentendosi poco bene, conta di partire la settimana prossima da Londra, per 10 giorni”. Successivamente le condizioni dell’alleanza diventano ancora più chiare. Le tre potenze alleate offrono all’Italia la costa adriatica della Dalmazia fino al capo Planka, le isole di Lisa, Busi, Cazza, Lagosta, Pelagosa e alla Serbia il resto del litorale dalmata.